mercoledì 24 giugno 2009
Dagli archivi dell’ex presidente della Repubblica una lettera in cui don Milani tentava di «giustificare» una sua proposta sociale
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Luigi Einaudi e Lorenzo Milani: una sintonia mancata. Tra l’e­conomista piemontese che fu presidente della Repubblica dal 1948 al 1955 e il Priore di Barbiana non ci fu intesa. Una lettera inedita del sacerdote fiorentino, scoperta dagli allievi della scuola di San Do­nato ora organizzati nel «Gruppo don Milani» di Calenzano, chiari­sce i contorni di un rapporto non del tutto felice. Il punto di partenza era stata una delle Prediche inutili di Einaudi, comparse in volume nel 1959 e più volte ripubblicate. Il testo einaudiano, partendo dalla vicenda di Giuffré, il «banchiere di Dio» che aveva coinvolto nei suoi traffici varie istituzioni religiose, criticava la confusione tra econo­mia e beneficenza; unita alla inge­nuità di molti uomini di Chiesa, quella confusione era causa di gra­vi danni. Einaudi sosteneva pure l’inutilità di una «infarinatura» di economia nei seminari o nei licei attraverso «manuali economici». Scritto alla fine del 1958, l’articolo non rivela una conoscenza diretta di Esperienze pastorali, uscite a marzo dello stesso anno. Un’allu­sione sembra però contenuta nel titolo: «Un libro per seminaristi e studenti». Abilmente, don Milani cita la «predica» come «quella ai seminaristi», ma su quel punto non venne da Einaudi alcun chia­rimento. La lettera di don Milani è però di grande interesse sotto un altro aspetto. Pochi giorni prima, scrivendo a monsignor Francesco Olgiati, autore di una durissima stroncatura sulla Rivista del clero i­taliano, don Milani aveva dichiara­to «scherzosi e non economici» i quattro articoli di una «proposta di legge» a pagina 338 del suo libro. Vi si affermava che i campi, le case coloniche, il bestiame e i boschi devono appartenere «a chi ha il co­raggio » di vivere e di lavorare in montagna. Anche se – aggiungeva il Priore – neppure questo sarebbe bastato a fermare l’esodo. Nella lettera al senatore Einaudi si dice che, nel libro, tutti gli argomenti di politica e di economia sono stati affrontati «scherzosamente». Il ter­mine «scherzoso» non sembra ap­propriato. L’approccio di don Mila­ni può essere meglio definito irri- tante, pungente, diverten­te, provocatorio e simili. Ma qui, trascurata l’esat­tezza linguistica, don Mila­ni punta alla sostanza: «In conclusione la tesi del libro non è affatto che i sacerdo­ti di queste cose dovessero intendersi o pontificare, ma piuttosto uscirne del tutto e al più presto». E per chiarire ogni dubbio: «Di ogni cosa vedevo solo il la­to pastorale». Ma anche quella di don Milani fu una «predi­ca inutile». La risposta del vecchio senatore (pubblicata a suo tempo da Neera Fallaci) è una lunghissi­ma lettera. Il libro di don Milani viene elogiato per l’originalità di u­na indagine che entra rispettosa­mente nella vita delle famiglie e ne trae conclusioni solide e attendibi­li. Ma il senatore ripete le critiche a quelli che parlano di economia senza averne la competenza (don Milani rientra nel numero!) e pren­de sul serio i «quattro articoli» di pagine 338 («Dio le perdoni il pec­cato di buone intenzioni»). Con Ei­naudi si aggiunse dunque un altro nome a quelli dei critici indifferen­ti alla «potenza dell’arte» (espres­sione del Priore) che aveva affasci­nato tanti lettori. Così don Milani aveva risposto al giudice Dupuis, che vedeva in Esperienze pastorali un’«atmosfera di lotta di classe»: «Gli innamorati nell’ammirare il loro bene qualche volta sono in­giusti verso gli altri che non sono il loro bene. Ma noi amiamo questa loro miopia che è quel famoso a­more materno e matrimoniale che rende la vita possibile e trova an­che agli esseri più spregevoli qual­cuno che li ama e non vede i loro difetti. Nel leggere il mio libro fac­cia conto di leggere un poema a­moroso. Io sono l’innamorato e questi due popoli (di San Donato e di Barbiana) sono l’oggetto del mio amore». Ma può un economista subire il fascino di un «poema a­moroso»?
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