venerdì 31 agosto 2012
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Celebrata in 28 Paesi europei, la tredicesima Giornata della cultura ebraica, che cade come ogni anno la prima domenica di settembre, sarà quest’anno dedicata al tema dell’umorismo ebraico. Come ogni anno, ci sarà una città capofila: l’anno scorso in Italia era Siena, quest’anno sarà Venezia. Come ogni anno, ci saranno in tutte le città italiane sede di comunità ebraiche spettacoli, convegni e conferenze, mostre, concerti, esposizioni di libri e stand di gastronomia casher. E naturalmente, dato che lo scopo della giornata è quello di far conoscere ai non ebrei il mondo ebraico, ci saranno visite guidate a tutti i più importanti luoghi ebraici, musei, sinagoghe, catacombe e cimiteri. Nell’impossibilità di parlare di tutte le iniziative, vorrei accennare a quelle che mi sembrano più significative. Prima di tutto, il fatto che alcune iniziative si terranno in città che sono state devastate dal terremoto, come Finale Emilia, una di quelle che più hanno pagato lo scotto alla catastrofe di pochi mesi fa, già sede di un’antica comunità ebraica, dove fra l’altro sta ricostruendo, con il contributo della sottoscrizione lanciata dall’Ucei, la scuola elementare danneggiata gravemente dal terremoto ed intitolata ad Elvira Castelfranchi, maestra elementare finalese cacciata dalla scuola nel 1938 perché ebrea. Un’altra iniziativa importante è quella dell’inaugurazione a Modena della mostra dedicata all’editore Angelo Fortunato Formiggini, il creatore della Casa del ridere, la prima grande raccolta di materiale umoristico a stampa, morto com’è noto suicida nel 1938 in seguito alle leggi razziste. E ancora, segnaliamo le letture a Padova dei brani dedicati alla risata presenti nella Torah e nel Talmud, la celebrazione a Trieste del centenario del Tempio, una rassegna cinematografica dedicata a Mel Brooks e Gene Wilder a Venezia. Un panorama assai ricco che illustra le molte diverse possibilità che la cultura ebraica offre alla risata, all’ironia, alla capacità di non prendersi sul serio. «L’umorismo ebraico – afferma in quest’occasione Amos Luzzatto – non è un’antologia di barzellette ma il modo tradizionale ebraico di affrontare e cercare di risolvere le avversità». Un’affermazione di forza, quindi, e di speranza.Il tema ha tuttavia suscitato già nei giorni scorsi un dibattito interessante all’interno del mondo ebraico, espressosi sullo spazio online del Moked. Le divergenze non sono marginali, ma toccano il cuore della questione: il valore da attribuire all’autoironia e alla capacità di sdrammatizzare e di mettersi in gioco  che caratterizzano tanta parte dell’umorismo ebraico. L’ebreo ride infatti di se stesso, del suo collocarsi rispetto al mondo esterno, delle sue stesse reazioni alle derisioni di cui è fatto oggetto, alle persecuzioni e fin alle violenze. Secondo alcuni, si tratterebbe non di una capacità di affrontare le avversità e di superarle, ma di un’autocensura, di un’assunzione dell’occhio dell’altro, se non addirittura di una volontà di negarsi in quanto ebreo, di assimilarsi, offrendo perfino spazio al mondo esterno. In sostanza, in questa interpretazione l’umorismo ebraico assumerebbe le caratteristiche di quello che è stato definito «l’odio di sé» ebraico, e che secondo altri non esiste tranne che in pochissimi casi estremi ed è soltanto un  modo da parte di alcuni per colpire di una sorta di scomunica tutti quegli ebrei che esprimono posizioni diverse dalle loro. Altri, e fra loro quanti hanno pensato di dedicare a questo tema la giornata, pensano invece che l’umorismo ebraico sia un tema molto serio, che tocca parti importanti dell’identità ebraica e mette in luce le capacità del mondo ebraico di guardare verso l’esterno, di aprirsi ad una visione universale. E pensano che la capacità di ridere di se stessi sia una qualità straordinaria che sempre più si va perdendo al giorno d’oggi e che andrebbe reimparata e reinsegnata. Ed è un arricchimento per tutti se la cultura ebraica riesce ad offrire nei suoi scritti, nelle sue memorie, nei suoi motti di spirito, questa capacità e a ricordarla a tutti.Che la risata sia un’espressione culturale importante, lo sappiamo da molto tempo. E non solo dagli studi di Freud sul Witz, ma dalla cultura greca e dalla sua commedia, dalle storie del Boccaccio, dalla Torah e dalla risata di Sara quando il Signore le annuncia la sua gravidanza, dalle storie talmudiche con il Signore che gioca a palla con il Leviatano, da infiniti momenti, tutti seri e profondi, della cultura degli ebrei e dei non ebrei. Perché in realtà l’umorismo, e non solo quello ebraico, si origina da una mescolanza di tragico e di comico, la risata ha dietro il  pianto e il pianto può mutarsi in un sorriso. E di questo, anche, del tragico oltre che del comico dell’umorismo ebraico, si parlerà il prossimo 2 settembre.
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