giovedì 5 giugno 2025
Enrico Fermi si interrogava sull’esistenza della vita extraterrestre: oggi la risposta è «sì» e risiede nella tecnologia
Una rappresentazione grafica, elaborata da un computer, di un pappagallo

Una rappresentazione grafica, elaborata da un computer, di un pappagallo

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Nel 1950, nella mensa dei laboratori di Los Alamos, quelli in cui si sviluppavano le armi atomiche, ci fu una discussione su una vignetta satirica apparsa sul quotidiano New Yorker, che ritraeva strane creature aliene che caricavano bidoni della spazzatura su un’astronave. La vignetta faceva riferimento alla misteriosa scomparsa di numerosi bidoni avvenuta in quel periodo. Mentre alcuni scienziati discutevano animatamente, Enrico Fermi, fino ad allora silenzioso e pensoso, disse di colpo «where is everybody?» («dove sono tutti?»). La battuta divenne virale, esprimendo il dubbio che nell’universo si siano altre forme di vita. Dopo 75 anni possiamo rispondere affermativamente alla domanda di Fermi: gli alieni ci sono e vivono nei nostri cellulari, nei nostri portatili. Non hanno una forma fisica ma si manifestano parlando e dialogando con noi. Sono quelle “intelligenze aliene” che Guido Vetere, esperto di linguistica e di intelligenza artificiale descrive nel suo saggio Intelligenze aliene. Linguaggio e vita degli automi, (Luca Sossella Editore, pagine 192, euro 15,00). Nella sua acuta analisi, Vetere descrive i Modelli linguisitici di grandi dimensioni (conosciuti anche come Large Language Model o LLM) come entità artificiali in grado sì di dialogare, ma incapaci di comprendere il senso e il significato delle loro parole. Un po’ ciò che percepiamo quando interagiamo con ChatGPT, Gemini, Claude e, più recentemente, DeepSeek. Chiama “aliene” tali entità perché hanno imparato a parlare senza però avere una conoscenza del nostro mondo, esattamente come un alieno appena atterrato sulla Terra. Andiamo indietro nel tempo, fino all’età feudale, ed entriamo in un castello per incontrare un menestrello. Lo sentiremmo cantare, suonare e, soprattutto, raccontare storie per il signore e i suoi cortigiani. Per quest’ultima capacità, i menestrelli erano anche chiamati “cantastorie”, dando origine, tra l’altro, alla tradizione culturale del “cuntu siciliano”. Con licenza storica, che cosa sono le intelligenze aliene che vivono nella dimensione digitale, se non “menestrelli artificiali”? La famiglia dei menestrelli artificiali è molto ampia e ne comprende alcuni che, per universale accordo, sono chiamati “i grandi dotti”. Sono menestrelli capaci di parlare tutti gli idiomi conosciuti, di sfoggiare una così ampia conoscenza dei fatti del mondo e della sua storia da meritarsi, come il nano Dottolo, il titolo di cui si fregiano. Da alcune testimonianze si è appreso che le loro capacità dialogiche sono il frutto di un lungo, complesso e costoso percorso formativo, scandito da passaggi rigorosamente definiti. Prima imparano le singole parole di una lingua, collegandole tra loro in elaborati intrecci che ne formano il significato. Poi leggono, assorbono, assimilano milioni di libri, articoli scientifici, senza disdegnare riviste, quotidiani e pagine web. Riescono a farlo perché conoscono le parole, precedentemente imparate. Ma questa lettura per loro non è sufficiente, perché devono passare attraverso un passaggio molto delicato, durante il quale raffinano i concetti appena acquisiti, eliminando quelli che non hanno senso. Quanti di noi dopo la lettura di un articolo su una rivista trovata nella stanza di attesa del dentista, ne hanno riconosciuto la palese falsità. Siamo quasi arrivati in fondo al faticoso percorso di formazione, perché adesso i menestrelli devono superare un esame impegnativo, rispondendo a una raffica di domande fatte da umani in carne e ossa che stabiliscono la bontà delle loro risposte. Solo dopo questo esame il menestrello potrà esibirsi in pubblico. Dopo l’iniziale sorpresa sono emerse le prime critiche. Il grande e dotto menestrello è pigro (sembra più Pisolo, adesso). Dopo il suo apprendistato non legge più nulla, non si aggiorna. Le sue storie diventano stucchevoli e legate al passato. Qualcuno glielo fa notare, ma lui alza le spalle e lo ignora. Altri menestrelli stanno sgomitando per prendere il suo posto. Sono più piccoli, sanno meno storie ma si aggiornano, leggono e raccontano storie moderne. Hanno seguito un percorso formativo diverso, durante il quale sono stati assistiti da menestrelli grandi e anziani secondo il metodo della “distillazione”. Le storie del menestrello maestro sono state semplificate e raccontate agli studenti, che non hanno dovuto spendere tanto tempo a leggere tutto ciò che ha letto il loro maestro. Purtroppo, la distillazione delle storie non è come la distillazione delle vinacce, per la produzione della deliziosa grappa. Le storie distillate sono piuttosto un po’ annacquate, senza la potenza narrativa e la ricchezza di eloquio di quelle originali. Ma altre critiche montano. Alcuni menestrelli parlano così bene da essere coinvolti in discussioni impegnative. Qualcuno chiede suggerimenti su una possibile cura, altri si rivolgono a loro per risolvere problemi matematici e finanziari. I menestrelli si sforzano di ricordare, tra i testi che hanno letto, una plausibile storia ma, ahimè, qualche volta si confondono, rispondendo a caso. Gira così la voce che non siano sani di mente, che abbiano allucinazioni, che debbano curarsi prima di parlare. Ecco che compaiono altri menestrelli, capaci di ragionare, di aspettare qualche secondo prima di rispondere. Sono bravi e si guadagnano l’appellativo di “menestrelli aristotelici”. Ma dopo un po’ si scopre la loro vera natura: sono come gli altri, non sanno rispondere a domande complesse e ogni tanto anche loro hanno le allucinazioni. L’informatica è una disciplina scientifica che ha una lunga e onorata tradizione. Ha costruito sistemi in grado di mandare in orbita satelliti, di controllare il traffico aereo, di gestire complessi industriali. Dall’affidabilità di questi sistemi dipende la nostra vita, il nostro lavoro, la nostra salute. Gli ingegneri del software affrontano gli errori che si verificano in questi sistemi con tecniche raffinate, cercando di evitarli e correggendoli tempestivamente. Nessuno di loro avrebbe chiamato allucinazione un errore di sistema, anche perché sarebbe stato licenziato sui due piedi. Chi ascolta i menestrelli dovrebbe essere consapevole di questa grande differenza, usare un atteggiamento etico per non usarli quando le loro allucinazioni possono essere dannose. Chi li addestra dovrebbe migliorare il loro percorso formativo, studiando il loro comportamento ma, soprattutto, come sono strutturati internamente. Infine, fino a quando non ci sarà la certezza che sanno solo raccontare storie, si dovrebbe evitare di descriverli come alieni intelligenti. C’è un tempo per contare storie e un tempo per ragionare.

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