mercoledì 9 dicembre 2009
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Aveva poco più di 35 anni Gabriele De Rosa quando, nel 1953, uscì presso l’editore Laterza una corposa Storia politica dell’Azione Cattolica, che si dipanava dal 1870 con la «questione romana» fino al decennio giolittiano del primo Novecento. Un’opera che «pur alimentata da un forte fervore polemico – come affermò in un suo profilo biografico lo stesso storico morto ieri a 92 anni – ebbe il merito di superare, con questo tentativo, l’isolamento storiografico che fino ad allora era stato riservato al movimento cattolico». De Rosa arrivava alla storia dopo una giovanile militanza nel Fascio di Alessandria, con articoli sul giornale locale a sostegno delle leggi razziali. Poi venne la partecipazione, come ufficiale dei granatieri, alla guerra in Africa di cui è testimonianza il taccuino La passione di El Alamein (Donzelli editore), «fitto di amor di patria dalla prima all’ultima pagina… Quella sanguinosa sconfitta apriva uno scenario diverso per il futuro dell’Italia». Ancora più tardi c’è stata la Resistenza, l’adesione al Pci, il lavoro giornalistico all’Unità... Quindi De Rosa imboccava la strada della storia: «Le velleità letterarie si erano spente, mentre i miei interessi si indirizzavano alle fonti della storia contemporanea». Il lavoro sull’Azione Cattolica, che avrebbe visto in rapida successione il suo seguito ne La storia del Partito popolare e in una nuova edizione del primo volume «rafforzato da uno scavo archivistico quasi del tutto inedito», poneva al centro della sua ricerche le vicende dell’Opera dei Congressi attraverso lo studio di uno dei suoi protagonisti, Giuseppe Sacchetti, veneto come Giovan Battista Paganuzzi, entrambi «arroccati alla parrocchia e al mondo rurale… Ma c’è anche il Veneto, signorile e distaccato, prudente e inquieto, sottilmente tormentato da sete di religiosità cosmica, di Antonio Fogazzaro». E c’era a Vicenza il mondo degli imprenditori Rossi e Lampertico, che mette insieme senza rotture «campanile e fabbrica». Le vicende del Partito popolare e il ruolo di Sturzo non potevano che essere il punto di arrivo del percorso scientifico di Gabriele De Rosa. Ma, man mano che scavava negli archivi e acquisiva documenti, cresceva nello studioso l’esigenza di una storia «integrata» nella quale «cultura, pratica religiosa, economia, istituzioni non sono comportamenti specialistici a sé, ma componenti, vasi comunicanti di una medesima realtà di scienza storica, che è quella in ultima analisi dell’umanità». Di questa visione globale, e non solo politica, sono gli studi e i saggi di storia sociale e religiosa d’Italia e i profili di vescovi, colti nella loro attività pastorale, che costellano la sua produzione scientifica o che sono da lui stimolati (attraverso anche il «Centro studi per la storia della Chiesa nel Veneto nell’età contemporanea» da lui fondato a Padova nel 1966) e che trovano in diverse case editrici il loro canale divulgativo. Essenziale per De Rosa è a Palazzo Lancellotti, dove hanno sede «Le Edizioni di Storia e letteratura», la conoscenza e la frequentazione di don Giuseppe De Luca «sacerdote di una pietà rarissima e di un amore profondo, spesso struggente per la Chiesa». È tramite questo «prete romano» – come amava definirsi – che lo storico del movimento cattolico conosce don Sturzo. Il fondatore del Partito Popolare cercava un giovane che facesse per lui ricerche. «De Luca gli fece il mio nome, spingendomi così nell’agone e il 15 maggio 1954, nel convento delle suore canossiane, ebbi il primo dei miei incontri con Sturzo». Del sacerdote di Caltagirone, De Rosa, docente di storia contemporanea in diverse università, sarebbe divenuto il biografo esauriente (come emerge nel libro edito dalla Utet) vivendo con passione – ma questa non incide sul rigore dello storico – i tanti incontri tradotti nel volume Sturzo mi disse (edito da Morcelliana) che consentono di leggere in modo più compiuto l’esperienza politica del fondatore del Partito Popolare; compresi nel dopoguerra gli aspetti critici di non poche scelte della stessa Dc. «In questi colloqui – scrive lo storico – il popolarismo non mi apparve più come una pura propaggine della storia del movimento cattolico, anche se indubbiamente i rapporti con questa storia erano evidenti, ma il progetto sturziano di partito ne usciva fuori per la sua capacità di inserirsi modernamente nella storia della società italiana». La presidenza per lunghi anni dell’Istituto «Luigi Sturzo» avrebbe contribuito a meglio riflettere sull’esperienza dei cattolici in politica. Sulla quale De Rosa aveva cominciato a lavorare quasi sessant’anni fa.
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