giovedì 10 febbraio 2011
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«Il mondo non si guarda, si ode, non si legge, si ascolta». È la frase dell’economista Jacques Attali, contenuta nel libro Rumori , con la quale lo storico Stefano Pivato, rettore del’Università di Urbino, inizia il saggio Il secolo del rumore. Il paesaggio sonoro del Novecento (Il Mulino, pagine 192, euro 14,00, in libreria da oggi). Un percorso che attraverso la storia, la politica, l’economia, l’arte, le abitudini sociali analizza l’emergere della società contemporanea schiavizzata dai rumori.Il concetto di Attali non è una riproposizione delle teorie futuriste?«Nei fatti, ai primi del ’900 i futuristi interpretano e anticipano i tempi. Fanno vedere il rumore. Le loro sculture, le loro pitture, i loro scritti sono "rumorosi". Provano a innovare la musica introducendo uno strumento chiamato "intonarumori", ma anche gli "scoppiatori", i "rombatori", i "sibilatori", i "gorgogliatori", i "crepitatori", gli "stropicciatori" e via dicendo. Con essi, piuttosto che con ottoni e violini, pensano di meglio interpretare la società moderna. Il fatto che poi il primo concerto per "intonarumori", al Teatro Dal Verme di Milano nel 1914 sia finito in una rissa, scatenata dai vari Marinetti, Boccioni e Carrà, scesi in platea per prendere a pugni i contestatori, rientra nella logica della civiltà del rumore».La civiltà industriale, quella del rumore, per intenderci, ha però le sue origini nell’800.«E non è un caso che proprio nella seconda metà di quel secolo ci siano artisti capaci di aprire le porte al nuovo secolo proprio attraverso il rumore. Si pensi all’Inno a Satana di Carducci, in cui il trionfo della materia, e quindi di Satana, sullo spirito, è immortalato nell’azione del treno, che "come di turbine manda il suo grido...". E sempre il treno, macchina rumorosa per eccellenza, è al centro di quel romanzo anticipatore della cultura novecentesca che è La bestia umana di Emile Zola, in cui è descritto in toni noir e dissoluti un mondo stregato dalla ferrovia, e quindi dal rumore».E l’«Urlo »di Munch?«È del 1885 e interpreta perfettamente l’angoscia dell’uomo davanti alla modernità che tutto travolge. Un dipinto che si può collocare accanto al fischio del vapore o allo sferragliare di una locomotiva».Ma come le è venuto in mente di leggere la storia attraverso il rumore?«C’è la storia delle grandi idee, quella delle grandi passioni... Studio la storia politica attraverso i simboli, i colori... perché non anche attraverso i rumori, che diventano essenziali nei grandi discorsi di piazza e nei comizi del ’900? Stiamo nel mondo con tutti i sensi, ma la storia è abituata a leggerlo solo attraverso... la vista. E se realizziamo graficamente la curva del rumore nella storia non possiamo fare a meno di vedere la straordinaria impennata che si realizza a partire da fine ’800. E poi si tratta di una strada nuova che nessuno storico ha battuto prima».Una curva ascendente... Secondo lei non c’è possibilità che si torni a privilegiare il silenzio?«Ci vorrebbe un’opera di educazione enorme. Per secoli il rumore è stato considerato un segno di riconoscimento della plebe. Il grado di rumore nei locali pubblici, per esempio, può ben essere considerato un buon indice di civiltà di un Paese. Tutti i manuali di bon ton diffusi fra ’800 e ’900 educavano ad atteggiamenti moderati e silenziosi. Ma oggi la globalizzazione ha spianato i costumi e chi è più ricco si mostra portando in giro la macchina e il motoscafo più potente, più rumoroso».Il rumore come «status symbol»?«Più si fa chiasso più c’è gente che ti nota e parla di te. Un atteggiamento indotto dalla tv. Una lettura efficace di questa forma di degrado sociale è fornita dal film Il sorpasso, in cui il rumore del clacson assurge a emblema della maleducazione della società contemporanea».Per tornare ad Attali, lui dice che la vita è rumore.«E aggiunge che solo la morte è silenzio. Ma noi siamo riusciti a rendere rumorosa anche questa. Ricordo l’indignazione dei giornali polacchi per gli applausi al funerale di Giovanni Paolo II. Oggi è sempre più comune sentire applausi a un funerale. La cronaca dice che il primo applauso pubblico di questo tipo si ebbe alle esequie di Anna Magnani. I primi fischi in un funerale si sentirono in quello del commissario Calabresi».Rumore come degrado dei costumi?«Basta ascoltare la tv per capire. Ormai siamo alla fiera del privato ostentato in pubblico attraverso il rumore».Faccio rumore quindi esisto.«Esattamente. E viene facile pensare a come si tratti di una percezione fasulla della propria esistenza. Ormai è tutta una "notte bianca". Tutti si sentono in diritto di fare rumore... Si urla anche quando non serve. Pensiamo alla mania di protagonismo di chi parla al telefonino facendo conoscere a tutti la sua vita privata. Siamo al paradosso: la privacy degli altri ti viene sbattuta in faccia senza che ci si possa difendere».I giovani sembra che non possano più vivere senza rumore.«Si ammucchiano nelle discoteche, ascoltano costantemente musica con l’auricolare. Forse è mancanza di dimensione spirituale? Forse è incapacità di stare soli con se stessi? È come se il loro cervello non sopportasse più il silenzio e questo, lo dico da insegnante, conduce a una scarsa capacità di concentrazione. Hanno bisogno di continui stimoli rumorosi. Il rumore ha preso il posto delle relazioni umane».E la politica?«Il nostro più grande politico dell’800, Cavour, era persona schiva, parlava piano quasi in maniera incomprensibile. Oggi la politica è solo clamore. Anche i giornali "urlano" in un vociare continuo. In certi cortei la musica è così forte da coprire il comiziante di turno. Anche gli anni di piombo avevano il loro rumore: quello delle bombe, della P38».Prima ancora ci fu la guerra delle campane.«Una vicenda simbolo dell’ideologia politica di ’800 e ’900 che pensò di mettere a tacere la Chiesa anche sopprimendo il suono delle campane. Guareschi ha descritto bene quell’epoca. Le campane delle chiese chiamano al silenzio, alla preghiera. Il rumore della civiltà contemporanea sembra invece voler disumanizzare, negare la spiritualità, impedire di pensare».E c’è chi vende il silenzio.«Si vendono barriere antirumore, si vendono vacanze in campagna, si vende l’isoletta con la palma solitaria, ma spesso si compra solo l’illusione del silenzio».
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