lunedì 27 febbraio 2012
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Gli Autori A Proprie Spese non sono più quelli di una volta. Anche perché, semplicemente, non spendono più. Il primo a parlarne con schiettezza era stato Umberto Eco. Nel 1988 il secondo romanzo del semiologo-narratore, Il pendolo di Foucault, conteneva una clamorosa eppure realistica caricatura dei cosiddetti Aps (gli Autori A Proprie Spese, appunto): scrittori di scarsa qualità e smoderate ambizioni, destinati a cadere preda dei raggiri di tipografi senza scrupoli. Tu paghi e io ti pubblico, tutto qui. Una situazione che nell’ultimo decennio si è rapidamente evoluta, mescolando una volta di più i livelli e i processi della produzione culturale. Oggi bastano poche mosse per far uscire un romanzo dal cassetto. Anzi, dal computer. Il risultato non è necessariamente un volume stampato e rilegato, per quanto questa opzione continui a essere offerta da siti come Lulu (www.lulu.com) e nel nostro Paese ilmiolibro.it, appartenente al Gruppo L’Espresso. Ancora più rapida e conveniente è infatti la creazione di un e-book, che può costare pochissimo o nulla all’autore, assicurando per di più l’immediata disponibilità del testo nelle maggiori librerie online. Dove, invece, il self-publishing (e cioè l’autopubblicazione) digitale genera profitti, in alcuni casi tutt’altro che trascurabili. Lo dimostra la vicenda di Amanda Hocking, una ragazza del Minnesota che nell’aprile del 2010, stanca dei rifiuti ricevuti dagli editori, ha deciso di pubblicare da sola, in formato rigorosamente elettronico, la sua imponente serie di romanzi fantasy. Un anno, un milione di copie e due milioni di dollari più tardi, Amanda ha ottenuto un invidiabile contratto da parte della St Martin’s Press, oltre a una serie di traduzioni in tutto il mondo (in Italia il primo volume della saga, Switched. Il segreto del regno perduto, è appena uscito da Fazi nella versione di Silvia Pellegrini).Insieme con un altro americano, l’autore di thriller autoprodotti John Locke, Amanda Hocking è il miglior testimone del funzionamento di Kdp, acronimo di Kindle Direct Publishing, il sistema messo a punto dal megastore virtuale Amazon per consentire agli aspiranti scrittori di pubblicarsi in autonomia, senza spendere un centesimo. Un meccanismo che dagli Stati Uniti si sta espandendo nel resto del mondo, compreso il nostro Paese, dove il sistema Kdp ha consentito all’altrimenti sconosciuto Max Dezzi di entrare nella classifica degli e-book più venduti con L’amazzone di San Giorgio. Ma Amazon, per quanto efficiente, non è l’unico canale di self-publishing: molto attivo è anche Smashwords (www.smashwords.com), che come il già ricordato Lulu permette di realizzare e-book a costo zero e di commercializzarli online.A entusiasmarsi di più, com’è prevedibile, sono i frequentatori assidui della Rete, tra cui spicca l’ingegnere e sociologo Mauro Sandrini, che nel suo Elogio degli e-book (www.elogioebook.com) interpreta il fenomeno del self-publishing nella prospettiva della condivisione su cui si basano le pratiche più consapevoli del Web. L’obiettivo, niente affatto dissimulato, sta nel superamento della mediazione compiuta dall’editore, a tutto beneficio di un dialogo diretto fra l’autore e i suoi lettori. Non per niente Sandrini appare fra i promotori di Bye Bye Book?, primo raduno dei self-publisher nostrani, in programma a Empoli, in provincia di Firenze, per il 24 marzo (informazioni al sito www.byebyebook.it). Si dibatterà, ci si confronterà e si proporrà di costituire un’accademia dell’autopubblicazione, intitolata all’irregolare Renato Fucini.«Ma il nostro ruolo è tutt’altro che esaurito – ribatte Alfieri Lorenzon, direttore dell’Associazione italiana editori – ed è il ruolo di chi, assumendosi ogni rischio d’impresa, cerca di dare visibilità e dignità al lavoro di un autore. Commettiamo qualche errore? Questo è fuori discussione, la storia è piena di scrittori divenuti celebri a dispetto del disinteresse dimostrato dagli editori ai quali si erano rivolti. Ma il problema, ora come ora, non è questo. Allo stato attuale in Italia escono circa 60mila titoli all’anno, ampliare la produzione in modo indiscriminato non rappresenterebbe un progresso, né tanto meno la soluzione rispetto al rischio, sempre in agguato, del capolavoro misconosciuto. Se vogliamo essere realisti, dobbiamo ammettere che nel nostro Paese il fenomeno e-book non è ancora esploso e che quindi autopubblicarsi in questo formato non rappresenta affatto una modalità efficace di promozione. Negli Stati Uniti il libro digitale rappresenta già il 15% del mercato, il che rende possibile il successo dei romanzi di Amanda Hocking o di John Locke. Anche qui, niente illusioni: è raro che le multinazionali agiscano per filantropia, grandi investimenti sono giustificabili solo in previsione di un vantaggio. Che non è necessariamente di tipo economico. Per qualcuno, per esempio, l’obiettivo può essere quello di scovare nuovi talenti».Un articolato esperimento di scouting nei meandri di internet è stato avviato dal 2010 dal Gruppo Gems attraverso il torneo letterario Io Scrittore (adesioni fino al 12 marzo sul sito www.illibraio.it/ioscrittore): «Non è un’iniziativa di self-publishing – sottolinea la responsabile Livia Sorio –, ma indubbiamente nasce nel contesto dei nostri anni. Il primo obiettivo consiste nel creare una comunità basata su un principio molto semplice: non tutto quello che viene scritto può essere pubblicato, ma tutto deve essere valutato, se non altro fra pari. Per partecipare non basta inviare il proprio testo in forma anonima, occorre anche leggere e giudicare il lavoro degli altri. È un meccanismo che permette di selezionare la rosa, molto ampia, dei 200 semifinalisti, dalla quale emergono poi i 30 finalisti. Per questi ultimi il riconoscimento per loro è rappresentato dalla pubblicazione in e-book. Attenzione, però, perché neppure in questo caso ci limitiamo ad applicare la logica del self-publishing. I testi dei finalisti, infatti, sono sottoposti a una revisione molto attenta e sono presentati in una veste grafica accattivante, com’è giusto che sia quando un editore si fa carico di introdurre nel suo catalogo un libro. L’ultimo passaggio è costituito dalla pubblicazione su carta, che ha riguardato finora una decina di opere e che sarà riservato ai quattro vincitori del torneo 2012».Ha deciso di muoversi in un’altra direzione Mondadori, sul cui imminente ingresso nel settore del self-publishing sono trapelate indiscrezioni che Edoardo Brugnatelli, editor della collana "Strade Blu" e referente del nuovo progetto, definisce del tutto infondate. «Non abbiamo alcuna intenzione di rendere disponibile a pagamento un marchio storico come il nostro – spiega –. Piuttosto, abbiamo il dovere di non chiudere gli occhi davanti a ciò che sta accadendo. Pubblicarsi online è sempre più facile, così come è facilissimo commercializzare gli e-book autoprodotti. È un ampliamento sbalorditivo e che lascia a tratti perplessi, eppure l’effetto finale, sul quale molti osservatori concordano, dovrebbe condurre a un incremento della qualità media. Il self-publishing può essere un formidabile incentivo al discorso sul libro, un elemento che favorisce il confronto tra lettori, innalzando il livello di consapevolezza e competenza. Mi piace rifarmi a una considerazione di un importante scrittore statunitense di oggi, Dave Eggers. Ognuno di noi ha il diritto di raccontare la sua storia, afferma, ma quando decide di scriverla deve farlo bene. In questo senso, una community fortemente strutturata, simile per certi aspetti a quella allestita dall’inglese Penguin, rappresenta non un’alternativa, ma un’utile integrazione al lavoro editoriale. Nelle nostre intenzioni, la piattaforma di self-publishing che Mondadori punta a varare entro l’estate dovrebbe diventare il luogo in cui ci si mette in gioco, imparando a fare sempre meglio quello che già adesso, in un modo o nell’altro, si può provare a fare».
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