mercoledì 30 marzo 2011
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La Libia non era quello «scatolone di sabbia», come lo aveva definito Gaetano Salvemini denunciando, cento anni fa, la guerra contro la Turchia proclamata dall’Italia. Il deserto nascondeva – e nasconde – una fonte quasi inesauribile di energia, il petrolio, il controllo del quale è uno degli aspetti non secondari del conflitto in corso in questi giorni. La gran parte dei pozzi infatti è nella Cirenaica e nella regione della Sirti. Fino a un secolo fa si trattava di un "tesoro" pressoché sconosciuto e introvabile anche se già tre anni dopo l’occupazione delle truppe italiane, nel 1914, alcune piccole quantità di greggio erano fuoriuscite da un normale pozzo scavato per cercare l’acqua. Ma la "Grande Guerra" prima, il rinserrarsi dell’occupazione del nostro Paese soprattutto nel controllo delle città e delle zone costiere ed anche una sottovalutazione, allora, del fabbisogno energetico da soddisfare (anche per i costi elevati che si sarebbero dovuti sopportare) aveva in un certo senso impedito in Libia un’attività di ricerca prima e di coltivazione degli idrocarburi poi. Eppure il problema di realizzare una propria politica energetica avrebbe cominciato ad essere avvertito in Italia. Nel 1926, in concomitanza con le prime ricerche nella pianura padana, era nata l’Agip ed anche nella colonia – governatore era il generale Badoglio –, nel 1929, «una società di alcuni maggiorenti italiani residenti a Tripoli ottiene l’autorizzazione a cercare il petrolio». In questo scenario si collocano le diverse missioni scientifiche di un giovane geologo. il professor Ardito Desio, che dal 1930 al 1936 in più viaggi nella Libia, spesso a bordo di cammelli, non solo avrebbe tracciato la prima esauriente carta geografica e geologica della regione, ma avrebbe anche avvertito una presenza consistente di idrocarburi. In realtà le ricerche di Desio erano indirizzate prevalentemente ad individuare le falde acquifere indispensabili per realizzare, specie nella provincia di Misurata, i progetti di colonizzazione e di trasformazione agraria di quel territorio semidesertico. Progetti che stavano molto a cuore al regime di Mussolini che, non a caso, proprio in quegli anni,  aveva deciso di muovere guerra all’Etiopia indicando agli italiani un nuovo traguardo di attività, di migliori condizioni di vita e anche di civiltà. La politica energetica, pur necessaria, sembrava non avere abbastanza solidità in Libia. Il petrolio in quella colonia era invece una realtà che Desio non poteva ignorare. Nel 1936 – si legge nel sito della fondazione che porta il nome del geologo – «scoprì un giacimento di magnesio e potassio e l’esistenza di idrocarburi nel sottosuolo da dove vennero estratti nel 1938 i primi litri di petrolio». Veniva elaborato anche un programma triennale di ricerche e coltivazione – con la partecipazione dell’Agip – nella regione Sirtica (la stessa nella quale anni dopo gli americani avrebbero trovato i maggiori campi di idrocarburi). Quando avrebbe lasciato la colonia allo scoppio della guerra, 18 pozzi perforati per ricercare acqua denunciavano una presenza, forse insufficiente date le tecnologie del tempo, ma non marginale di petrolio. Lo stesso Desio aveva anche sollecitato Italo Balbo, con il quale aveva rapporti d’amicizia fin dagli anni dell’università, allora governatore della Libia e critico della politica di Mussolini, ad ottenere dagli Stati Uniti una sonda più grande per scendere a profondità maggiori nel terreno. «C’è infatti la quasi certezza – leggiamo in un recente articolo di Aldo Piombino – che Desio avesse capito (o quanto meno ipotizzato) la presenza di grandi quantitativi di petrolio sotto la sabbia». La ricerca del petrolio in Libia, come è noto, sarebbe ripresa dopo la guerra. Prima ad opera della maggiori compagnie occidentali con risultati alterni. Anche l’Agip sarebbe riuscita negli anni ’60 ad ottenere le concessioni per i suoi pozzi (gli stessi ora al centro della guerra), ma Gheddafi, all’inizio degli anni ’70, aveva nel frattempo espulso tutti gli italiani. Il professor Desio si era intanto impegnato in un’altra grande impresa: la spedizione alpinistica che avrebbe portato alla conquista del K2. E che gli avrebbe dato una fama mondiale. Ma è giusto ricordare che è stato questo grande scienziato ad aprire al nostro Paese la via libica al petrolio.
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