martedì 11 settembre 2012
In «Tempest» il menestrello d’America sceglie di misurarsi con il naufragio simbolo di un’epoca alternando citazioni letterarie a riferimenti religiosi come all’epoca di «Slow Train Coming» .
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​Volendo, si potrebbe raccontare Bob Dylan così come ha fatto il regista Todd Haynes nel film Io non sono qui; attraverso le storie dei personaggi dietro cui l’hobo di Duluth s’è mimetizzato in questi cinquant’anni di canzoni. Icone assolute come Woody Guthrie ma anche di pura fantasia tipo Elston Gunnn, Blind Boy Grunt, Bob Landy, Robert Milkwood Thomas, Tedham Porterhouse, o i fratelli Lucky e Boo Wilbury dell’avventura Traveling Wilburys. Un gioco di maschere che Mr Tambourine reitera pure tra i solchi del nuovo album Tempest, da oggi sul mercato, con la figura del produttore Jack Frost, despota della console creato ai tempi di Love & Theft e mai più abbandonato. È Frost, infatti, a licenziare queste dieci nuove canzoni del padre-padrone Dylan, attingendo umori e colori da una variegata tavolozza cromatica che associa country, zydeco, rock e blues ai registri rugginosi di un orgoglioso settantunenne che non ha smesso di viaggiare col corpo e con la mente, come ricorda il fischio del treno dell’iniziale Duquesne Whistle, country-swing firmato da Bob assieme all’ex paroliere dei Grateful Dead Robert Hunter. Quasi a ricordare che il treno «lento» su cui Dylan aveva caricato nel ’79 il suo denso immaginario religioso dopo la conversione al cristianesimo prosegue la marcia. La scultura sulla copertina di Tempest – un particolare dal complesso monumentale di Pallade Atena collocato davanti al parlamento austriaco – evoca una voglia di classicismo che torna in una girandola di citazioni in bilico tra John Greenleaf Whittier e William Blake, tra i Beatles e Muddy Waters. Il massimo autore musical-letterario del secolo scorso, anche se arrivato ai primi posti dell’hit-parade solo in questo, cita Louis Armstrong e gli Everly Brothers in Scarlet Town, Muddy Waters e la sua (I’m your) Hoochie Coochie Man in Early Roman Kings, mentre la metafora della società sull’orlo dell’abisso utilizzata nella stessa Tempest raccontando per quasi quattordici minuti il naufragio del Titanic affiora, per espressa ammissione dell’autore, da The Great Titanic di una sua grande passione giovanile come la Carter Family. Il fatale declino di un Occidente cieco ed irresponsabile trova spazio tra gli eroismi e le vigliaccherie del naufragio più cinematografico della storia («Quando finì l’opera del Mietitore / in 1600 erano andati a riposare / Il buono, il cattivo, il ricco, il povero / La più bella e la bestia… / avevano aspettato sul pianerottolo, / avevano cercato di capire / Ma non c’è nulla da capire / nel giudizio della mano di Dio«) con citazioni pure per Leo Di Caprio e per il kolossal di Cameron, ma anche in una data di pubblicazione non proprio a caso come l’undicesimo anniversario del crollo delle Torri Gemelle. Alla luna «metallo» affogata nel mare «nero come il petrolio» solcato dall’Inaffondabile nel suo fatidico viaggio inaugurale aveva dedicato un (gran) disco trent’anni fa pure Francesco De Gregori, citato da Dylan (o così sembra) pure nell’introduzione di Roll on John con un pugno di accordi che sembrano quelli di Generale. Dedicata a Lennon, Roll on John cita Come Together ed A Day in the Life, ma anche William Blake per raccontare gli ultimi attimi di vita dell’ex Beatle accostandolo alla Tigre dal «divampante fulgore» del poeta inglese con la raccomandazione a Dio di lasciarlo dormire, e splendere, per l’eternità.
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