martedì 22 agosto 2017
Il regista racconta al cinema la ritirata del 1940 dalle spiagge belghe: vittoria morale degli inglesi contro il nemico tedesco. Splendide la fotografia di van Hoytemale e le musiche di Zimmer
Kenneth Branagh in "Dunkirk" di Cristopher Nolan

Kenneth Branagh in "Dunkirk" di Cristopher Nolan

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È il racconto di una storica ritirata, più che un film di guerra, ma non per questo meno epico e appassionante. Un omaggio al coraggio, alla perseveranza e all’altruismo degli inglesi protagonisti di un drammatico evento destinato a cambiare il corso della storia. Dopo aver raccontato il mondo fantastico di Batman e il futuro più visionario in Inception e Interstellar, con Dunkirk (nelle sale il 31 agosto) Christopher Nolan si cimenta per la prima volta con una storia vera, quella della cosiddetta “Operazione Dynamo”, avvenuta tra il 27 maggio e il 4 giugno 1940, quando il Corpo di Spedizione Britannico insieme alle truppe francesi, belghe e canadesi indietreggia fino alla spiaggia di Dunkerque (Dunkirk è la grafia inglese), incalzati dai tedeschi durante la cosiddetta Battaglia di Francia.

Sebbene a sole 26 miglia di distanza da casa, non c’è modo di raggiungere l’altra sponda. Una lunga secca nel mare rende impossibile l’attracco delle navi inglesi che non possono dunque raggiungere la riva opposta e salvare i propri soldati. Ma quando viene inviata una richiesta di aiuto ai civili oltre la Manica affinché vengano in soccorso con le loro piccole imbarcazioni, una vera e propria flotta privata salpa dal sud della costa inglese per raggiungere la Francia e riportare 400 mila uomini a casa. La spiaggia di Dunkerque, teatro di quell’eroica evacuazione trasformata in una vittoria morale, di cui gli inglesi vanno ancora molto fieri (lo “spirito di Dunkirk” indica la determinazione a resistere alle avversità), sta dunque a Nolan come quella della più celebrata Normandia a Spielberg e quella di Iwo Jima a Eastwood, diventando un claustrofobico inferno di sabbia, cadaveri e uomini in fuga, luogo simbolo di una disfatta, ma anche di sopravvivenza.


Nolan torna a manipolare tempo e spazio, come aveva già fatto in alcuni film precedenti (Memento, oltre ai già citati Inception e Interstellar) e con maestria costruisce il film intorno a una struttura prismatica che non solo restituisce prospettive multiple, quelle delle diverse persone che hanno vissuto quei drammatici giorni, ma intreccia tre punti di vista e tre livelli temporali diversi, tra terra mare e cielo. Ci sono gli uomini intrappolati sulla spiaggia per una settimana, quelli che nell’arco di un giorno arrivano in soccorso sulle proprie barche e i piloti che in un’ora a bordo degli Spitfire della Raf cercano di proteggere dall’alto con acrobatiche evoluzioni i disperati uomini in fuga.

L’abilità del regista, che al pubblico chiede grande attenzione, sta allora nel far convivere una settimana sulla terraferma, un giorno in mare e un’ora in aria raccontando il viaggio di pochi personaggi (Kenneth Branagh che ha la battuta più toccante del film, Mark Rylance che recita con lo sguardo, Tom Hardy nascosto tutto il tempo da una maschera, Cillian Murphy traumatizzato e senza nome), sempre in equilibrio tra accuratezza storica e intrattenimento, storia individuale e dimensione universale, linee orizzontali e verticali.

Totalmente concentrato sul punto di vista britannico perché è per gli inglesi che questa storia ha assunto un significato speciale: la presenza dei tedeschi, chiamati genericamente nemici, è testimoniata dai feroci bombardamenti e quella dei francesi è simbolicamente ridotta a un soldato che cerca di tappare le falle di una nave. Il film non seppellisce le emozioni sotto l’artificio del virtuosismo registico e il minimalismo dei dialoghi, anzi, le esalta attraverso la fotografia di Hoyte van Hoytemale e le vertiginose riprese in Imax alternate a quelle con pellicola 65 mm, per allargare il formato panoramico e restituire tutta la portata epica e colossale del “miracolo di Dunkerque”.


Il caos assordante della guerra emerge in tutta la sua devastante e convulsa potenza, la cronologia degli eventi viene più volte spezzata per consentire il raccordo tra diverse traiettorie e misure di tempo, ma il ritmo dato dal montaggio alternato resta teso e incalzante come quello di un thriller. Evitando il più possibile effetti digitali e computer grafica, il regista ha girato gran parte del film, che si è avvalso della consulenza di Joshua Levine, autore del libro Forgotten voices of Dunkirk, sui luoghi del salvataggio, sulla spiaggia di Dunkerque dove è stato ricostruito lo storico molo proteso verso la speranza, dove si accalcarono migliaia di uomini diventando facile bersaglio degli attacchi aerei, e sulle acque della Manica solcata dalle piccole imbarcazioni che in occasione del film sono tornate a compiere l’eroica impresa. Ad aggiungere suspance all’azione contribuisce la straordinaria e complessa colonna sonora di Hans Zimmer che mescola musica, suoni e rumori contribuendo a sottolineare la sensazione di tensione, pericolo, urgenza e corsa contro il tempo.

Nel finale le parole di Churchill sono pronunciate da un soldatino dalle pagine di un giornale. «Siamo solo dei sopravvissuti» obiettano, ma sopravvivere è abbastanza in questa battaglia senza gloria e tanta umanità.

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