mercoledì 7 aprile 2010
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Dopo la dura persecuzione degli anni ’50, che era riuscita in parte a eliminare la presenza degli ordini religiosi in Cecoslovacchia, la Primavera del ’68 aveva permesso a questi ultimi di uscire dalla clandestinità, sia pure per pochi mesi. Il 5 gennaio 1968 anche Jaroslav Duka, poco più che ventenne, decise di entrare nell’ordine domenicano, prendendo il nome di Dominik. Nel ’70 ricevette la consacrazione sacerdotale dal vescovo Trochta, e fu inviato ad amministrare alcune parrocchie delle zone di frontiera. La normalizzazione seguita all’invasione sovietica ricacciò gli ordini nella clandestinità. I sacerdoti potevano officiare solo col permesso statale, e in questo modo le autorità comuniste speravano di tenerli sotto controllo. Così alcuni ordini sopravvissero in parrocchia, o in appartamenti dove i religiosi senza permesso statale e i novizi vivevano in comunità, e intanto lavoravano nel mondo. Nel gennaio ’72 Duka fece la professione solenne, ma tre anni dopo gli fu ritirato il permesso statale perché portava pubblicamente l’abito religioso. Il 24 luglio 1981 Duka fu arrestato. Qualche giorno prima aveva ricevuto la visita di due sacerdoti tedesco-occidentali, successivamente espulsi dalla Cecoslovacchia con l’accusa di aver raccolto materiale contro il regime. La polizia politica (StB) effettuò una lunga perquisizione da Duka, durante la quale sequestrò vari testi religiosi compresi materiali del samizdat. Padre Dominik fu condotto in carcere e accusato inizialmente di "danneggiamento degli interessi della repubblica all’estero". Dato che però non fu possibile provare che avesse consegnato ai due ospiti materiali "dannosi", l’imputazione fu cambiata in "elusione della sorveglianza sulle Chiese e le organizzazioni religiose" (par. 178 c.p.), per aver concelebrato con gli ospiti in presenza di altre persone. Il 18 dicembre ’81 Duka fu condannato a quindici mesi di carcere senza condizionale. In sua difesa si mobilitò il Comitato per la difesa degli ingiustamente perseguitati (Vons), filiazione dell’iniziativa informale Charta 77, che nei suoi comunicati seguì l’iter del processo. Secondo i dati raccolti dal Vons, le prove addotte contro Duka mancavano di concretezza e chiarezza.Il principale testimone dell’accusa, ad esempio, era uno schizofrenico malato di mente, smentito da altri testimoni. In sé, inoltre, il possesso di stampa pubblicata in proprio non costituiva reato: punibile era semmai la diffusione di testi di contenuto inappropriato. Anche il riferimento al paragrafo 178 era farraginoso, dato che vi rientravano i religiosi ufficialmente "impiegati" dallo Stato, non i membri di ordini che lo Stato non riconosceva. L’appello, svoltosi nel dicembre ’81, confermò invece la condanna. Nel comunicato del Vons si sottolineava come la sentenza avesse più l’aspetto di una lezione di ateismo che di un vero e proprio documento legale. Secondo la corte, Duka aveva esercitato un influsso negativo sui giovani e aveva un atteggiamento ostile verso l’ordine socialista in quanto seguiva le disposizioni del Concilio e non riconosceva l’organizzazione filo-governativa per il clero Pacem in Terris. Inoltre «sul posto di lavoro, dopo la pausa pranzo, leggeva la Bibbia»! «La tendenziosità di questo caso – concludeva il Vons – dimostra come si sia voluto isolare un sacerdote scomodo, consapevole della propria responsabilità cristiana». Grazie all’intervento di varie autorità religiose, tra le quali il cardinal Tomášek, e di altri organismi internazionali, Duka fu rimesso in libertà nell’82, prima dello scadere della pena. Da allora fino al crollo del regime comunista fu costantemente sotto sorveglianza (fascicolo Domino II). Ancora nel luglio ’89 un rapporto della StB di Plzen lo descriveva intento a seguire l’attività dei domenicani, a partecipare «all’indottrinamento ideologico antisocialista dei giovani, per il quale vengono organizzati incontri cospirativi nelle cosiddette comunità laicali presso vari appartamenti».
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