domenica 11 giugno 2023
Il cantautore pavese, 50 anni fa con "Vado via" iniziava una carriera che non si è mai interrotta e che lo ha portato ad essere considerato un "rivoluzionario" in Polonia. Ora prepara un tour teatrale
Il cantautore Drupi, 75 anni, pronto per il prossimo tour teatrale

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Il cantautore 50 anni fa con “Vado via” arrivò ultimo a Sanremo ma da lì è partita una carriera che prosegue ancora: «Il successo? Per me prima viene la libertà «Vado, questa volta ho deciso che vado...». È l’attacco della super hit dell’estate di cinquant’anni fa: brano arrivato ultimo al Festival di Sanremo del 1973, cantato, ieri come oggi, da un principe degli “irregolari” della musica pop (l’uomo giustissimo per la nostra serie estiva) il cantante pavese, classe 1947, Giampiero Anelli, per brevità artistica, Drupi. Nome d’arte da folletto del cantar leggero, come quello che, da bambino, aveva interpretato in una recita scolastica. Ma la scuola non era il suo forte. Così il futuro bluesman del Ticino, prima di campare di musica, ha sbarcato il lunario lavorando da barista, poi benzinaio e infine come idraulico. «E saldare tubi, riparare rubinetti e termosifoni mi piaceva anche, al punto che pensavo sarebbe diventato il mio mestiere». Alla sera, dopo il lavoro, via la tuta e in jeans e camicia stirata, come la folta chioma corvina, via a cantare con Le calamite. La sua prima band da eterno e fiero uomo di provincia, pronto a sfidare il mondo partendo dalle nebbie della Bassa. «Ma vivere di canzoni, allora voleva dire suonare nei night o imbarcarsi sulle navi crociera per mesi, forse anni. Ma come facevo? Il mio mondo era qui, al fiume, al bar con gli amici… E a quel punto era meglio fare l’idraulico». Parole da saggio capo indiano, quale è sempre stato nell’immaginario di chi lo vedeva arrivare, fuori e dentro il palco, con i capelli lunghi sulle spalle (mai tagliati) lo sguardo profondo dell’uomo forte, pronto a sostenere la mano di una donna Così piccola e fragile. «Che fossi uno di loro l’hanno pensato anche gli Onondaga, la tribù dei nativi americani che in Canada mi hanno nominato loro “Capo onorario”. Io, in fondo mi sono sempre sentito un po’ uno di loro. Fin da piccolo leggevo le storie degli indiani e quando guardavo i film western detestavo John Wayne. Il mio eroe era e resta Tex Willer, un ranger che nel suo cuore è l’indiano “Aquila della notte”». L’uomo che canta Regalami un sorriso ne regala parecchi a chi lo ascolta divertito.

Tornando all’estate del ‘73, a strapparlo a un destino liquido, da idraulico, arrivò in suo soccorso la coppia storica di parolieri: Enrico Riccardi e Luigi Albertelli.

Grandi, tutti e due di Tortona Albertelli e Riccardi. Enrico era un bravo pianista, ma per mia fortuna non cantava bene, ne era consapevole e mi disse: «Drupi ho una canzone per Mia Martini da portare a Sanremo, ma siccome è un blues mi faresti un provino?». Accetto di corsa. Il pezzo era bellissimo, registrai il demo, Mimì l’ascoltò, era entusiasta, ma dieci giorni prima del Festival decise di non partecipare e non ci fu verso di convincerla a ripensarci. Non ho mai saputo il perché, so solo che Albertelli e Riccardi invece pensarono in coro: «Ma sì, mandiamo il ragazzino». Io mi presento a Sanremo, canto Vado via e mi sbattono all’ultimo posto. Ma intanto quella canzone poi ha venduto 9 milioni di copie e io da allora ho cominciato a girare il mondo senza mai smettere di fare questo mestiere del “musicante”.

Drupi, allora deve dire grazie a Mia Martini per aver “saltato” quel Sanremo…

Devo tutto a Mimì. Se ho avuto fortuna e successo è stato anche grazie a lei. Io sono la testimonianza vivente che tutte le dicerie sul suo conto sono state delle cattiverie gratuite e disgustose uscite dalla bocca di quegli stessi ipocriti da cui ho dovuto difenderla. Gli stessi che l’hanno pianta e si sono professati suoi amici solo dopo che è morta... Quando Rai2 mi diede la conduzione di una trasmissione, la prima ospite che chiamai fu Mimì e insieme cantammo Reginella. Ero riuscito a riportarla in televisione e da lì in poi la sua carriera, interrotta da quelle dicerie assurde, riprese alla grande. E allora oggi mi piace pensare che fu anche per merito mio se Mimì ritrovò, anche se per poco, un po’ di serenità.

Per merito tutto suo, dal 1973 al ’78 era fisso in hit parade: con Rimani, Piccola e fragile (seconda a “Un disco per l'estate al Festivalbar del 1974), Sereno è , Due (vince il Festivalbar del ‘75), Sambariò (Festival di Sanremo ‘76). E nel 1978 la canzone Paese diventa la sigla della trasmissione più nazionalpopolare, la “Domenica In” di Corrado. Un decennio di trionfi e di tour internazionali.

Quest’ultima, Paese, è una canzone che devo andarmela a risentire, me la ricordo poco e infatti non la faccio mai ai concerti… - sorride sornione –. Sì, quello fu un periodo in cui non stavo mai a casa. Sono stato ovunque, ma in quei primi anni di grande visibilità ricordo che rifiutai una tournée in Australia perché preferii andare a vedere cosa ci fosse oltrecortina. Mia nonna odiava i comuni-sti, mentre avevo uno zio che mi ripeteva convinto che in Russia e nell’Est si trovava il paradiso. Così accettai di partecipare al “Festival Lira” di Bratislava e mi si aprì un mondo che non ho più abbandonato e dove non posso fare a meno di organizzare concerti tutti gli anni.

La Polonia e Praga sono due tappe fisse del suo tour permanente.

Quando andai in Polonia la prima volta ai miei concerti la gente veniva con le bandiere di Solidarnosc. Ci furono scontri con i militari mentre cantavo sul palco e i giornali titolarono: “Walesa, Wojtyla e Drupi stanno liberando la Polonia”. Walesa l’ho conosciuto, bel tipo. Il Papa no e mi dispiace perché mi emozionava ascoltare i discorsi del “Carlone” Wojtyla, un Santo illuminato… A Praga altra storia incredibile, ho cantato nel cuore antico della città, in Piazza dell’Orologio. Un privilegio concesso solo al sottoscritto e ai Rolling Stones, ma io rispetto a Mick Jagger e soci ne ho fatti due di concerti, loro uno soltanto - sorride Drupi -.

L’ultimo grande Sanremo l’ha vissuto nell’anno del Mundial vinto dall’Italia di Bearzot, l’82: e anche quell’estate sulle spiagge l’italiano che si sentiva campione del mondo cantava la sua struggente Soli , brano che realizzò con i New Trolls Quante storie con loro. C’è stato un tempo in cui con Nico (De Palo) e Vittorio (De Scalzi) vivevamo come fratelli. Teste da perdere i New Trolls, ma musicisti mondiali, appunto: quando salivano sul palco con gli strumenti in mano erano pazzeschi. Appena scendevano da lì, stavano sempre a litigare. Con De Scalzi nel 2017 abbiamo suonato a Napoli al Teatro San Carlo. Una sera indimenticabile con tanti amici della canzone italiana, c’era anche Clive Bunker, batterista dei Jethro Tull e un’orchestra fantastica con cui abbiamo cantato Soli. Uno spettacolo, e a condurre un altro grande andato via troppo in fretta, Fabrizio Frizzi.

Un altro grande, volato via presto, è stato Giorgio Faletti con cui avete inciso la canzone Maledetta musica, inserita nell’album Amica mia.

Per quella canzone a un certo punto abbiamo cominciato a litigare, perché stavamo uscendo dal budget. Per un “triangolino” che si sentiva poco Giorgio pretendeva di rifare l’intero mixaggio, l’ho mandato a quel paese. Poi ci siamo abbracciati e siamo rimasti amici fino alla fine. Mi piacevano i suoi gialli, specie il primo ( Io uccido). Giorgio era bravissimo in tutto: sapeva scrivere, cantare, re-citare, far ridere la gente, un eclettico come se ne vedono più pochi adesso in circolazione.

Anche coppie che restano assieme 50 anni come lei e sua moglie, la cantautrice Dorina Dato, se ne vedono più poche in giro.

Vero. Ci siamo conosciuti proprio in quel ’73 in cui a Sanremo volevo portare un grande coro per Vado via. Ma allora non era consentita una cosa del genere e così presi un po’ di amici, un paio di loro poi divennero i Matia Bazar, Dorina e sua sorella. Dorina da quel Festival in poi è rimasta sempre con me, c’è sempre la sua voce in tutte le mie canzoni di quegli anni e la nostra frequentazione poi è diventata un matrimonio, anche artistico. Assieme portiamo avanti l’etichetta indipendente Proxima Centauri, con cui ci divertiamo ancora a produrre la nostra musica a “Km 0”.

L’ultima canzone che avete scritto assieme con Dorina è Il gatto e il topolino...

Non è una canzone da Zecchino d’oro, ma un inno all’amore, quello che non conosce steccati, al punto che un gatto si innamora di un topolino. È una canzone meravigliosa che difficilmente passa nelle radio o in tv, ma non è una nostra preoccupazione. Io invidio certi miei colleghi che vivono solo di musica e smaniano tutto il tempo per inseguire il successo... Personalmente se non mi chiamano per anni a fare l’ospitata televisiva non piango mica, anzi. A me della musica piace trovare le parole giuste per un bel testo, gli accordi, le melodie. Il gioco dell’improvvisazione, il sorriso e il calore del pubblico è la mia linfa vitale, come la libertà di prendere la mia canna da pesca e arrivare fino in Irlanda per scoprire un altro lago o un fiume bello come il mio, qui a Pavia. Cinquant’anni dopo l’estate di Vado via, dove se ne va ora il capo indiano Drupi?

Dal 5 al 26 agosto per la prima volta dopo tanto tempo con Dorina ce ne andiamo in vacanza. Stacchiamo per andare a raccogliere le idee per un progetto inedito che ci appassiona. Non mi hanno mai chiesto di fare un tour teatrale e sinceramente cantare al Lirico di Milano, dove una volta la gente andava per sentire Gaber o Strehler, un po’ mi fa sudare… Però penso anche che sia arrivato il momento di far sentire certe canzoni che hanno un senso per il percorso fatto sin qui. Sono storie in musica che servono a portare sul palco idee ed emozioni mai comunicate prima a quello zoccolo duro di persone, sparse nel mondo, che non ha mai smesso di seguirmi.

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