sabato 11 febbraio 2012
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Quando la voce fuori campo ipotizza un rischio di misoginia all’interno della Chiesa, le clarisse di Urbino si mettono a parlottare tra di loro, co­me quando a scuola arriva l’intervallo. In prima fila c’è una sorella già anziana, con il viso pacioso, gli occhi grandi e spalanca­ti. Lì per lì si ha l’impressione che la do­manda l’abbia messa in imbarazzo, ma in effetti è lei a dare la risposta più tagliente: «Ogni tanto dovrebbero ricordarsi che noi donne siamo capa­ci di pensare, oltre che di pregare». Detto così, sempli­ce semplice. Del re­sto, Francesco si consultava con Chiara e ne ascolta­va i consigli. «Però è durata pochissi­mo », torna a com­mentare la nostra suorina. Non è una rivendicazione, tanto meno una protesta. Una con­statazione, ecco tutto. Invitata a dare il suo contributo al­l’evento Gesù no­stro contempora­neo, Liliana Cavani ha scelto di conservarsi fedele al suo me­stiere di regista e ha lasciato parlare i volti e le storie degli altri. Delle altre, anzi, di queste Clarisse protagoniste del docu­mentario proiettato ieri mattina all’Audi­torium Conciliazione nell’ambito della ta­vola rotonda su 'Gesù e le donne' mode­rata da Paola Ricci Sindoni. La spiritualità francescana appartiene alla poetica della Cavani fin dal Francesco d’Assisi del 1966, eppure questo filmato risulta sorprenden­te nella sua voluta semplicità. La novizia che spala la neve in cortile è la stessa che ritroviamo poi in biblioteca intenta nello studio dei Padri, quasi a testimoniare la possibilità e insieme la necessità di ricom­porre la frattura tra pensiero e azione, tra vita e fede. Caratteristica squisitamente anche se non esclusivamente femminile, come ha sottolineato la storica Emma Fat­torini, che ha subito messo in guardia dal­la tentazione di trasformare la 'differenza femminile' in condizione di inferiorità, e­marginando così una ricchezza che, anco­ra una volta, è delle donne, ma non solo delle donne. «Anche nel cattolicesimo – ha ribadito la studiosa – l’impoverimento che ne conse­gue è un problema di tutti, e in particolare degli uomini». Aiuta, in questo, la prospet­tiva storica: se fino alla Rivoluzione fran­cese, infatti, la Chiesa ha stretto un’allean­za naturale con le donne, considerate co­me custodi dei valori tradizionali, dall’800 in poi questa complicità viene messa in discussione. La libertà dell’individuo, te­ma moderno per eccellenza, va sempre più di pari passo con le istanze dell’eman­cipazione femmini­­le, fino alla delicata situazione attuale, nella quale il dibat­tito sui princìpi non negoziabili interes­sa direttamente il corpo stesso delle donne. «Ma questa – ha ribadito Emma Fattorini – può es­sere un’occasione straordinaria: oggi la Chiesa è chiama­ta a esprimere sulla condizione femmi­nile un coraggio e una creatività simi­li a quelli dimostra­ti a proposito della questione sociale nel passaggio tra XIX e XX secolo». Il legame inestricabile fra 'buona teolo­gia' e 'buona antropologia' è stato sotto­lineato anche dal biblista Ermenegildo Manicardi attraverso una minuziosa rico­gnizione della presenza femminile all’in­terno dei Vangeli. «Gesù non si presenta come femminista – ha sottolineato mon­signor Manicardi –, anche perché non considera mai la donna come una catego­ria a sé stante. La sua opposizione alla mentalità patriarcale dell’epoca è però in­discutibile ». Quello di Cristo è dunque u­no sguardo che, posandosi sulla donna, ri­vela qualcosa di ogni uomo, come accade nell’episodio dell’adultera, in cui si an­nuncia l’orizzonte di un perdono univer­sale. E come accade nell’ultimo atto del ministero pubblico di Gesù, che coincide con l’elogio della vedova che porta il suo obolo al tempio. Non si sbaglia troppo, forse, a immaginare che quella donna as­somigliasse almeno un po’ alla combatti­va clarissa di Urbino.
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