lunedì 14 maggio 2018
Al termine della partita Atalanta-Milan, il portiere rossonero lancia la maglia ai tifosi, ma questi la rifiutano: non sei degno di noi. Un gesto che merita una riflessione
Gigio Donnarumma

Gigio Donnarumma

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La conferma che questa è una Repubblica fondata sul pallone arriva da Bergamo. Alla fine della partita Atalanta-Milan, uno “spareggio” per l’accesso in Europa League accade il fattaccio. Gigio Donnarumma, enfant prodige ancor prima che portiere del Milan segue i suoi compagni nel rito da tribù del calcio, quello del lancio della maglia ai tifosi rossoneri. Tutte le maglie vengono accettate con gioia e in Curva si assiste al classico “ballottaggio con strappo” - a tratti violento secondo logica ultrà - per accaparrarsi il cimelio sudatissimo indossato dai propri beniamini. Tutte, tranne la maglia di Donnarumma che viene rispedita al mittente. «Non sei degno di noi», gli urla qualche ultrà ancora avvelenato per le papere del Gigione di mercoledì scorso all’Olimpico di Roma dove in una sola notte il Milan ha perso la Coppa Italia e Donnarumma il confronto diretto con il vecchio Gigi Buffon. Quarant’anni e non sentirli il Gigi juventino, 19 il Gigione milanista che esce a testa bassa dal campo di Bergamo e di colpo si deve essere sentito vecchio, stanco ma soprattutto umiliato. Le conseguenze dell’amore: quello cieco del tifoso che un giorno ti esalta come la più bella stella dell’universo e il giorno dopo ti getta nella polvere di quelle stesse stelle, cadenti.

Ma è possibile? Nella Repubblica del pallone tutto è possibile, anzi l’assenza di memoria (in questo caso di cuoio) è la regola. I colpevoli? In primis i procuratori capaci di spacciare spesso lo sterco per nutella. Non è il caso di Donnarumma che è sicuramente un fenomeno di precocità (gioca in Serie A da quando ha 16 anni) ma prima di ricevere le stimmate del fuoriclasse ci vogliono almeno vent’anni di onoratissima carriera, proprio come Buffon. Ma se hai un procuratore come il pizzaiolo di Re Mida, Mino Raiola, bastano due presenze in Nazionale, non presentarsi agli esami di maturità (come ha fatto Gigio la scorsa estate) e farsi paparazzare sulla spiaggia di Ibiza che al mercato delle vacche grasse del pallone si viene subito quotati 100 milioni di euro. Quelle cifre poi vengono battute e ribattute sulle tastiere del "giornalismo tifoso", altro massimo responsabile del volo degli stracci in faccia a Donnaruma. Per questa sezione, "giornalisti tifosi", davvero infangante per l’intera categoria, basta che Gigio faccia due parate perché venga eletto lo Jašin del terzo millennio, ma anche altrettanti svarioni (vedi il paio di “saponette” romane) per insignirlo del “Premio Mattolini”, vetusto e ingiusto riconoscimento per il portiere non impeccabile per non dire scarso.

La verità? Donnarumma non è un fenomeno, o almeno non ora e non qui, è sicuramente un giovane e bravo portiere che ha comunque davanti vent’anni per poter cantare “papaveri e papere”. Certi procuratori così come quei giornalisti tifosi, sono una delle tante piaghe della Repubblica del pallone. I tifosi anzi gli ultrà che invece rigettano la maglia di quello che fino a un attimo prima era il loro idolo intoccabile appartengono a un campionato, anzi a un campionario umano, che Sciascia ci invita ad inserire tra la categoria degli ominicchi o dei quaquaraquà.

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