mercoledì 4 ottobre 2017
Un saggio di Stefania Bartoloni raccoglie le testimonianze eroiche di madri, spose, fidanzate e figlie durante il primo conflitto mondiale
La Grande Guerra delle donne
COMMENTA E CONDIVIDI

Ormai da tre anni, dal 1914, siamo abituati al profluvio di lavori dedicati alla Grande Guerra, quella che per l’Italia cominciò nel ’15 e che comunque finì nel ’18. Quest’anno, con il ’17, siamo per il nostro paese al drammatico clou, a Caporetto. Frattanto, siamo anche al centenario della Rivoluzione d’Ottobre: e gli anni che seguiranno, tra 2018 e 2025, saranno densissimi di rievocazioni relative alle “paci di Versailles”, al “Biennio Rosso”, alla guerra civile europea tra aspirazioni bolsceviche e reazioni “nazionaliste” o “fasciste” (dai “Corpi Franchi” al Putsch di Monaco alla “Marcia su Roma”. Ma il clima degli anni che viviamo ci obbligherà a guardare anche a quel che un secolo fa accadde nel Vicino Oriente: e che in Europa passò allora quasi inosservato mentre oggi, a posteriori, ce ne dà di argomenti da studiare. Insomma, storici e cultori di storia non avranno il tempo di annoiarsi. Intanto, tra i frutti più interessanti di questo centenario della prima guerra mondiale vanno annoverati parecchi studi sulla condizione femminile e sul suo mutare a contatto con la nuova situazione e le inattese emergenze determinate in tutta Europa dallo sforzo bellico, dalla carenza nei vari paesi di manodopera maschile impegnata al fronte, dal conseguente emergere anche sul piano morale e culturale di una nuova realtà della quale le donne furono protagoniste.

Il passaggio di molti paesi europei da un’economia prevalentemente agricola a una a carattere sempre più industriale imponeva nuove condizioni e nuovi problemi non solo sul fronte del lavoro e della produzione, ma anche su quello della famiglia. E le problematica che aveva fin lì, in modo sovente almeno in apparenza astratto, riguardato lo sviluppo della democrazia, doveva da queste rinnovate situazioni ricevere un impulso davvero innovatore. A questa problematica risponde il denso libro di una specialista in materia, Stefania Bartoloni, che col suo Donne di fronte alla guerra. Pace, diritti, democrazia (Laterza, pagine 240, euro 24,00), esamina con un robusto lavoro di sintesi la situazione soprattutto italiana ma anche in generale europea “della donna” – e, concretamente, delle donne – nelle varie articolazioni sociali, etiche e civi- li con le quali “l’esser donna” (e quindi madre, figlia, fidanzata, sposa, amante, lavoratrice domestica, lavoratrice tout court, organizzatrice politica, operaia, contadina, religiosa eccetera) fu chiamata a misurarsi in un lungo ventennio che dalla Belle Epoque – che “bella”, per molti membri delle classi subalterne, non fu per nulla – e dalle speranze di pace e di progresso spesso retoricamente aperte dal nuovo secolo giunse attraverso i quattro terribili anni del conflitto all’affacciarsi del terzo decennio di esso e all’età dei totalitarismi.

Erano illusorie, le speranze di pace e di progresso dell’alba del Novecento? Si erano certo aperte grandi promesse ed erano affiorati nuovi movimenti, proprio nell’àmbito del mondo dell’emancipazione femminile e delle tematiche, ad esso correlate del pacifismo e della democrazia: erano gli anni del riformismo della “santa laica” Alessandrina Ravizza e della fondazione, nel 1899, dell’Unione Femminile di Ersilia Majno: e non si creda che, nello stesso movimento operaio, le sostenitrici dell’emancipazione avessero sempre vita facile: anzi, una certa “trasversalità antifemminista” si ravvisava in area cattolica come in area laici, nel mondo borghese come in quello dei lavoratori. Importante al riguardo la diffusione dell’antimilitarismo, che andava di pari passo con l’industrializzazione galoppante degli eserciti e con il rapporto sempre più stretto tra industria pesante e propaganda nazionalista. Spiccano in questo contesto personaggi come Leda Rafanelli Polli, socialista e poi anarchica, vicina per qualche tempo al giovane Mussolini, infine convertitasi all’Islam; o la rivoluzionaria Fanny dal Ry, disincantatrice impietosa di tutte le retoriche patriottiche sulla patria e sul sacrificio. Queste istanze, che ebbero un grande peso anche nella Germania guglielmina e nella Russia zarista, entrarono per forza in rotta di collisione con i vari governi europei impegnati, dal ’14 in poi, nella guerra: e si ebbero casi di donne convertite alle Belle Idee per cui si muore e al culto degli eroi-martiri caduti per la patria, ma anche al contrario di donne che dal pacifismo passarono alla disobbedienza civile e al sabotaggio nel nome del disarmo e della pace a qualunque costo.

La Bartoloni, una delle fondatrici della Società Italiana delle Storiche, la quale ha al suo attivo un ragguardevole numero di pubblicazioni specifiche sull’argomento, non rifugge affatto dinanzi alla complessità del problema, non si rifugia nel semplicismo delle contrapposizioni frontali: al contrario, accanto allo slancio eroico di quante seppero sacrificarsi nella lotta pacifista e antimilitarista senza quartiere sottolinea lo sforzo, non meno eroico, di coloro che scelsero di stare accanto ai loro uomini in guerra impegnandosi nel lavoro, nell’assistenza e quindi nell’elaborazione di quei “nuovi” valori emersi dallo sforzo bellico, nelle nuove forme di solidarietà emerse dall’esperienza militare e nelle prospettive sociali che ne derivavano. Anche le madri e le congiunte dei caduti scrissero al riguardo pagine di storia, spesso rimaste anonime o quasi, ma comunque dense di forte significato. Certo è che nelle donne, e proprio in quanto donne, l’aspirazione alla pace mostrò una forza, una coerenza, una risonanza molto maggior e profonda che non nell’elemento maschile. Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi, ha scritto il vecchio Bertolt Brecht; ma non sono mancati gli uomini che in buona fede e con grande generosità, gli hanno opposto il Dulce et decorum est pro patria mori. E non si è trattato di quelli dell’«Armiamoci e partite». Ma erano, almeno in stragrande maggioranza, uomini.

Le donne, no. Le donne ragionano in un’altra maniera. E all’eroe caduto in battaglia guardano sempre come si guarda a un figlio, a un padre, a un marito, a un fidanzato, a un amante che non tornerà più. Le donne, che gli uomini li partoriscono, hanno dalla loro un desiderio di pace che è, letteralmente viscerale. Avete presente la virile raccomandazione delle donne spartane ai loro figli: «Torna con questo scudo (cioè vincitore) o su questo scudo (cioè morto)»? Beh, sono stati degli uomini ad avercela tramandata. La voce delle donne di Sparta, quella direttamente loro, non l’abbiamo mai sentita.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: