sabato 14 ottobre 2017
Cresce nel Vecchio Continente il peso specifico delle personalità femminili che, pur rimanendo dentro la fede musulmana, rigettano ogni forma di fondamentalismo
Islam d'Europa, la speranza dalle donne
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Il primo a investire una donna del ruolo di imam fu lo stesso Maometto, la cui moglie Aisha era solita guidare la preghiera collettiva e offrire consulenza per questioni teologiche e spirituali. Non dovrebbe suscitare tanto scalpore, dunque, che ai giorni nostri una musulmana scelga di diventare imam – al femminile si direbbe imamah – e persino di aprire una moschea in cui si pratica e si insegna un islam moderno, liberale e soprattutto lontano dalla cultura patriarcale che spesso ne inficia artificiosamente il messaggio. Invece l’impresa di Sherin Khankan, sociologa delle religioni e profonda conoscitrice della mistica islamica formatasi all’università di Damasco ma cresciuta a Copenaghen, ha fatto notizia, e infuocato il dibattito in Danimarca. Perché un anno fa Sherin, di madre finlandese e padre siriano, ha messo in piedi la moschea Mariam, dedicata alla Madre di Gesù (venerata anche nell’islam), una moschea femminile al primo piano di un’elegante via del centro della capitale danese dove, assieme ad altre imam donne, guida la preghiera del venerdì, celebra nozze interreligiose e insegna a bambini e giovani come la fede sia compatibile con i valori della modernità. Una prima assoluta, e non solo per il Paese scandinavo.

Tradizionalmente, infatti, mentre in moschea le fedeli sono relegate in spazi a loro dedicati, spesso angusti, accessibili solo da un ingresso secondario, a intonare l’adhan, il richiamo alla preghiera, e a proclamare il sermone, il khutbah, sono uomini. E le eccezioni, dagli Stati Uniti all’Asia al Sudafrica, sono davvero poche. Per Sherin, una quarantaduenne mamma di quattro figli, dai lunghi capelli chiari non coperti dal velo, era ora di cambiare, anche in Europa. «Mentre il Vecchio Continente è martoriato dal terrorismo jihadista e per reazione crescono intolleranza e islamofobia, noi donne musulmane, sfidando le strutture patriarcali, possiamo aiutare a modificare la narrazione della nostra fede e contribuire al dibattito sui temi più caldi che la circondano », spiega. Nonché compiere passi concreti verso una parità di diritti: «Molte giovani musulmane europee vorrebbero poter sposare un uomo di fede diversa, ma l’interpretazione più diffusa della shari’a prevede questo diritto solo per i fedeli maschi. Noi, basandoci sul fatto che nel Corano non vi è esplicito divieto di matrimoni interreligiosi per le donne, celebriamo riti misti». Non solo. Le nozze contratte alla moschea Mariam, una comunità che oggi riunisce un centinaio di membri, prevedono l’annullamento in caso di poligamia o violenza, e garantiscono alla sposa il diritto di occuparsi dei figli nell’eventualità di divorzio. Non sorprende che il progetto sia stato criticato dai membri più conservatori della comunità islamica, tra cui l’imam Waseem Hussein, a capo di una delle più grandi moschee di Copenaghen, e che Khankan abbia ricevuto pesanti minacce via web. Ma lei non si scompone, forte del supporto di molti correligionari e soprattutto della solidarietà di una rete di femministe musulmane – teologhe, studiose, attiviste – che in tutta Europa stanno compiendo un cammino simile al suo. Come Saliha Marie Fetteh, anche lei imamah danese, o le britanniche fondatrici della Inclusive Mosque Initiative a Londra. O ancora le svizzere Elham Manea, docente di Scienze politiche dell’Università di Zurigo, attivista e membro di un movimento internazionale che promuove un islam inclusivo e umanistico, e Saïda Keller-Messahli, scrittrice di origine tunisina fondatrice del Forum per un islam progressista, vincitrice del premio per i Diritti umani 2016 per la sua opera contro la radicalizzazione dei giovani, soprattutto nelle carceri.

Per Messahli uno degli obiettivi più importanti è «prendere pubblicamente posizione sulle questioni politiche, sociali e culturali che riguardano l’islam in Europa, con il coraggio anche di un’autocritica che spesso le organizzazioni tradizionali evitano. Per non parlare delle correnti salafite e wahhabite, ormai maggioritarie anche qui gra- zie ai finanziamenti di alcuni Stati mediorientali». La mobilitazione delle femministe islamiche europee non è da sottovalutare. Sebbene queste donne siano ancora un movimento minoritario, infatti, la loro influenza è forte, anche perché, a differenza delle proprie compagne che decidono di allontanarsi dalla religione, loro lottano dall’interno per adeguarla ai tempi. «Contiamo eccome, e per questo facciamo paura ai radicali, altrimenti non ci minaccerebbero con tanta violenza». Ne è convinta Seyran Ates, avvocata nata a Istanbul 54 anni fa, che in Germania è da tempo in prima linea a difesa delle sue correligionarie vittime di delitti d’onore, violenza domestica, matrimoni forzati. Seyran è sotto protezione della polizia dal 2006, ma le minacce di morte sono aumentate esponenzialmente da qualche mese, quando, grazie al suo impegno, ha aperto i battenti la prima “moschea liberale” di Berlino, dove donne e uomini pregano insieme e le porte sono aperte ai fedeli di qualunque corrente islamica. La sala di preghiera, che sorge nel quartiere di Moabit, proprio quello che ospitava l’associazione radicale frequentata da Anis Amri, l’autore della strage al mercatino di Natale, è intitolata a Ibn Rushd (Averroè) e a Goethe. «Fin da quando facevo parte della Conferenza islamica tedesca voluta dal ministero dell’Interno, mi sono resa conto che la politica ha bisogno di interlocutori organizzati, e noi esponenti di un islam moderato e liberale non lo eravamo», racconta. «Numerosi accademici e validi esperti di religione che la pensavano come me avevano troppa paura ad esporsi, persino a scrivere un libro. Così ho realizzato che dovevo fare il primo passo e creare un luogo in cui poter praticare e testimoniare un’altra via alla nostra fede. E ora che questo progetto finalmente si è realizzato, ogni giorno ricevo un’infinità di messaggi da fedeli entusiasti, che mi incitano a non gettare la spugna».

Ma la moschea Ibn Rushd-Goethe ha ricevuto attacchi da varie autorità islamiche, dalla Turchia all’Egitto, dove al-Azhar l’ha definita «un’innovazione religiosa non approvata dalla shari’a »: come ha reagito? «Siamo ancora in attesa di motivazioni teologiche accettabili, e non di ragioni che chiamano in causa la “tentazione” rappresentata dalle donne in moschea, o da richiami alla tradizione, peraltro infondati, visto che in origine alla Mecca i fedeli pregavano insieme». Per Ates, è giunto il momento di liberarsi dall’influenza di istituzioni straniere che vogliono imporre la propria visione cristallizzata della fede, e insieme alle sue colleghe punta a creare un islam europeo, compatibile con i valori del pluralismo e della democrazia, i diritti umani e le leggi locali. «Nel corso della storia, in ogni luogo in cui si è diffuso, dal Marocco alla Bosnia, l’islam è stato in grado di adeguarsi alle tradizioni autoctone: questo per noi è il futuro». In progetto, ora, c’è l’apertura di altre due moschee liberali a Friburgo e a Londra. «Ma la nostra visione è quella di averne una in ogni capitale europea entro dieci anni». Le sorelle musulmane d’Europa non intendono fermarsi.

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