martedì 14 luglio 2009
Per qualche mese nel 1944 il «padre dei mutilatini» espatriò da clandestino in Svizzera, dove ebbe compiti informativi nell’«intelligence» alleata dell’Oss Col nome in codice di «Chino», tenne i contatti con l’organizzazione partigiana dei carabinieri e con la repubblica d’Ossola
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Ma può una «spia» diventare santa? Beh, se è andato vo­lontario con gli alpini in Russia ed è sopravvissuto alla riti­rata; se ha dedicato tutta la sua vita ai «mutilatini» e agli handicappati gravi; se in morte ha donato persi­no gli occhi a due ciechi; insomma, se si tratta di don Carlo Gnocchi: perché no? Del sacerdote milanese che sarà beatificato il prossimo ot­tobre si sanno molte cose, ma la nuova biografia popolare (benché storicamente ineccepibile, come dimostrano le 50 pagine tra note e bibliografia) che Edoardo Bressan congeda per gli Oscar Mondadori (pp. 198, euro 10) ne ricorda una che stimola la curiosità e merita un approfondimento: ovvero il perio­do travagliato tra 1943 e 1945 in cui l’ex cappellano del Gonzaga di Mi­lano, rimessosi in salute dopo l’im­presa di Russia e alla ricerca di una via per il futuro, finisce in Svizzera un po’ per assistere lassù i rifugiati antifascisti italiani e soprattutto per sfuggire alle minacce della po­lizia repubblichina (don Gnocchi collaborava infatti con una rete cattolica per assistere e far espa­triare i ricercati e gli ebrei). Dun­que, seguendo anche il consiglio dell’arcivescovo Schuster, don Car­lo il 10 luglio 1944 espatria clande­stinamente attraverso la Val Cavar­gna con un lasciapassare della Cro­ce Rossa. Il vescovo di Lugano monsignor Angelo Jelmini lo vor­rebbe destinare ai campi di raccol­ta dei giovani italiani, ma due de­nunce anonime che descrivono il prete come filo-fascista bloccano la via. Don Gnocchi si ferma dun­que in una località vicina al confi­ne, sul Lago Maggiore, e di lì si im­pegna nei settori a lui più conge­niali: la pubblicistica, con articoli su organi di stampa ticinesi, e la collaborazione con la Resistenza clandestina. In questa attività rien­trano i contatti con gli emissari al­leati e le probabili missioni svolte per conto dell’Oss (Office of Strate­gic Services), in pratica l’«antena­to » della Cia in tempo di guerra. Bressan ricorda questi episo­di in una frase: «Si sviluppa la sua 'attività di collega­mento' fra i partigiani e gli Alleati, ulteriormente confermata da una sua nuova missione a Campione dal 3 al 7 ottobre con il suo atten­dente Gino Schieppati, in occasio­ne della quale incontrò il vicecon­sole americano a Lugano, Donald Jones, uno degli uomini più impor­tanti per la raccolta di informazio­ni da parte degli Alleati, in stretto contatto con Allen Dulles a Berna». Dulles – già avvocato di Lucky Lu­ciano, massone, commerciante d’armi, banchiere finanziatore di Hitler, poi responsabile della Cia – era anche «il padre delle spie», ov­vero il direttore dell’Oss in Europa, appunto da Berna; che c’entrava con lui il futuro apostolo dei muti­latini? La cosa può spiegarsi col sorgere, in una zona contigua a quella dove stava don Gnocchi, della repubblica partigiana dell’Os­sola, «liberata» il 9 settembre 1944: grazie alla sua familiarità con molti giovani fuoriusciti, don Carlo do­vette essere contattato da ambienti resistenziali e alleati per trovare vo­lontari da inviare in rinforzo o in missione. Anzi – come ha docu­mentato la ricercatrice Renata Broggini in studi pubblicati dall’e­ditore Dadò di Locarno – il 23 set­tembre lui stesso passa nell’Ossola insieme al giornalista Ugo Arcuno, forse nell’impulso di non lasciare soli i «suoi» giovani nel momento del pericolo, ma probabilmente anche con qualche incarico di col­legamento. Ritorna infatti pochi giorni dopo in Svizzera e il 2 otto­bre un elenco della polizia confe­derale lo segnala tra gli «informato­ri » con il nome in codice di «Chi­no » e alle dipendenze del caporale Gustavo Foletti «Gufo». La notte tra il 3 e il 4 sotto il nome di don Gal­biati il sacerdote raggiunge a Cam­pione dove, nella casa dell’espo- nente della Resistenza e futuro sin­daco Felice De Baggis, consegna al console Jones «un grosso plico di informazioni militari e politiche» e si accorda per inviarne periodica­mente altre attraverso il suo atten­dente; lo conferma anche il parro­co, che sul suo Chronicon annota il 7 ottobre: «Ospite in casa parroc­chiale, riparte per oltre il confine il Rev. Don Carlo Gnocchi con il Sig. Schieppati, scesi (clandestinamen­te) a Campione in missione specia­le ». Che cosa avesse di importante da comunicare agli Alleati è don Carlo stesso a rivelarlo in un rap­porto post-bellico all’Oss: doveva informarli dell’esistenza nel Nord Italia di un’organizzazione clande­stina dei Carabinieri, che faceva capo al duca Marcello Visconti di Modrone e chiedeva di essere rico­nosciuta ufficialmente e quindi aiutata con armi e fondi. «Per mezzo delle conoscenze conservate dai Carabinieri nell’ambiente fascista» – scrive don Gnocchi – tale gruppo avrebbe avuto «lo scopo immedia­to di fornire agli Alleati materiale di informazioni militari e politiche e quello futuro di costituire una for­za di ordine al momento dell’avan­zata delle truppe alleate nella Valle Padana». Proprio a casa Visconti di Modrone a Macherio (Mb) don Carlo sarà arrestato dai nazifascisti il 17 ottobre, probabilmente in se­guito a una fuga di notizie sulla sua attività clandestina e con l’accusa di «intelligenza col nemico e alto spionaggio». Resta a San Vittore fi­no al 4 novembre (uscirà per diret­to intervento del cardinale Schu­ster) e manca così un altro impor­tante appuntamento in Svizzera: in quanto «pratico dei sentieri» per­ché «faceva spesso la spola tra Ita­lia e Svizzera essendo a contatto con elementi partigiani d’Italia», da Lugano infatti avrebbe dovuto accompagnare a Milano Bruno Ki­niger, incaricato dagli Alleati di mediare la liberazione degli ebrei internati nel campo di Fossoli (Mo). «Chino» rimase comunque nelle liste elvetiche degli «agenti ed ex agenti che potrebbero presen­tarsi al confine per rientrare in Svizzera» almeno fino al gennaio 1945, anche se «attualmente fuori quadro». Così si meritò l’apprezza­mento del consolato americano di Lugano, che poco dopo la fine del­la guerra gli rilasciò un attestato come «persona che ci ha reso im­portanti servizi durante l’occupa­zione tedesca di Milano». Ma l’atti­vità di intelligence procurò al sacer­dote pure una diceria infamante che si è perpetuata fino al processo di beatificazione: cioè che proprio lui avesse passato agli Alleati l’ubi­cazione dei depositi di carburante di Erba (dove don Gnocchi era di casa) poi bombardati il 30 settem­bre e il 1° ottobre 1944 con un bi­lancio di oltre 70 morti. Ora final­mente Bressan è in grado di assicu­rare che il futuro beato non c’entra, in quanto – secondo documenti dell’aviazione Usa da poco dispo­nibili – le prime ricognizioni su Er­ba avvennero il 22 agosto «ed entro quella data don Gnocchi non uscì certo dalla Confederazione». «Spia» sì, spietato no.
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