martedì 21 novembre 2023
Morto nel 1941 a 25 anni sul fronte greco-albanese, il giovane sardo era considerato una promessa dell'arte italiana tra le due guerre. Un volume di Maurizio Cecchetti ne rilegge la figura e il genio
Salvatore Fancello, "Vacca e vitellino", 1938, terracotta smaltata e policrima

Salvatore Fancello, "Vacca e vitellino", 1938, terracotta smaltata e policrima

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Il destino di chi tra gli artisti muore giovane è entrare nel mito o essere dimenticato. Per Salvatore Fancello è stato entrambi. Quando il 12 marzo 1941 viene raggiunto da tre colpi a Bregu Repit, sul fronte albanese, non ha neppure 25 anni ma era già tra le figure di spicco dell’arte italiana. Nato a Dorgali nel 1916, si era formato come artigiano nel laboratorio di un ceramista. Nel 1930 aveva vinto una borsa di studio per l’Isia di Monza, che frequenta insieme agli altri sardi Giovani Pintori e Costantino Nivola, e dove ha per insegnanti Marini, Pagano, De Grada. Grande disegnatore e sperimentatore tecnico sulle materie, ottiene presto eccellenti risultati nella ceramica. Nel 1936 partecipa alla VI Triennale di Milano, dove vince il Gran Premio per il suo zodiaco. Si sposta quindi ad Albisola, dove incontra Fontana. Nel 1940 Giuseppe Pagano gli commissiona una serie di lavori per la sede della Bocconi, a Milano, di cui resta il grande bassorilievo Giovinezza. Ma viene richiamato alle armi e la sua storia entra nella categoria degli “E se…”.

Grande talento barocco, esercitato con perizia fantastica su un bestiario composto di asini, cinghiali, leoni, giraffe e rinoceronti, lontano dalle linee dell’arte di regime, Fancello è quello che si dice un autore di culto. Se negli ultimi anni è cresciuta la bibliografia fancelliana, ora i segnali si intensificano: il Man di Nuoro apre tra pochi giorni una mostra dedicata proprio a “Fancello Nivola Pintori”; nel catalogo della mostra a Monza “Isia Academy 1922-1943”, dedicata ai 100 anni dell’istituzione, Fancello è citato oltre 80 volte. Arriva quindi a fornire un quadro importante, in particolare per la messa a registro di importanti dettagli storici e critici, il libro Gli anni di Fancello. Una meteora nell’arte italiana tra le due guerre (Medusa, pagine 212, euro 22) di Maurizio Cecchetti, che all’artista ha dedicato anni di ricerche.

Il volume è composto da un saggio iniziale e un ricco apparato di testi e documenti, alcuni dei quali inediti, in cui per la prima volta nella bibliografia fancelliana i testi fondamentali dell’epoca sono pubblicati integralmente. Cecchetti cancella alcune sicurezze reiterate, come l’alunnato da Martini (che cessa l’insegnamento all’Isia prima dell’arrivo di Fancello) o il sostegno di Persico, che però non cita mai l’artista. Sottolinea invece il rapporto con Pagano, ipotizzando che Fancello sia stato uno dei motivi che fecero emergere nell’architetto il rifiuto del fascismo. Pagano ne curò la mostra postuma a Brera nel 1942, pronunciando un discorso il cui sottotesto politico è ben poco mascherato. Poco dopo la mostra Pagano restituì la tessera del partito e passò nella resistenza, morendo a Mauthausen. Cecchetti valorizza la breve carriera di Fancello mostrando l’eccezionale ricorrenza di segnalazioni e pezzi critici su di lui, il sostegno e le polemiche pro Fancello di Ponti e della figlia Lisa, le brevi lettere di Argan.

Del caso della Biennale del 1948, la prima del dopoguerra, dove Fancello fu relegato su una scala, Cecchetti pubblica i documenti inediti delle assicurazioni che dimostrano il valore elevato delle sue opere di Fancello. Completano la sezione il carteggio con Nivola e Pintori, le lettere di Salvatore al fratello Marco, tutte le commoventi lettere di Renata Guggenheim dall’America. Di Fancello Cecchetti offre una lettura critica ancorando la sua opera al legame con la terra sarda, sostenendo la necessità di approfondire meglio l’imprinting adolescenziale che gli venne dalla sua terra e dalle trazioni e i miti locali: « Le terre sarde sono i luoghi del sogno che in Fancello stemperano e ricreano la visione del tragico sulla memoria ancestrale (…) Fantasia libera e vita agreste, fantasia pastorale, di chi sotto il cielo apre gli occhi e viaggia verso mondi che si formano e si disfano sotto il cielo come le nubi portate dal vento, come i riflessi di quel medesimo cielo sulla superficie del mare; agreste, la fantasia, magica di ci soltanto la terra più inospitale può essere ostetrica».

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