venerdì 14 gennaio 2022
Nuove rivelazioni e una positività nascosta dal tennista. L'Australia ha deciso per la linea dura contro il giocatore no-vax: è in stato di fermo. Domenica la nuova sentenza
Il n.1 del tennis mondiale il serbo Novak Djokovic, 34 anni, al centro del caso diplomatico con il governo australiano

Il n.1 del tennis mondiale il serbo Novak Djokovic, 34 anni, al centro del caso diplomatico con il governo australiano - Reuters

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Il governo australiano ha revocato il visto di ingresso a Novak “Nole” Djokovic, che immediatamente ha fatto ricorso per opporsi alla sua espulsione e alla sua interdizione per 3 anni dal “Paese dei canguri”. Il giocatore serbo potrebbe essere anche incriminato per false dichiarazioni e rischiare di essere punito con una pena a 5 anni di reclusione. Non solo, una volta finito questo contenzioso, Nole rischia anche una lunga squalifica da parte dell'Atp, l'associazione dei giocatori di tennis professionisti che gestisce il circuito dei tornei. Visti i 35 anni del campione serbo, l'esclusione dall'Atp metterebbe la parola fine alla sua carriera.

Intanto, Djokovic è stato è stato posto in stato di fermo (da domani) dopo essere stato sentito dalla polizia di frontiera. Potrà tuttavia restare a fianco dei suoi avvocati mentre preparano le richieste da presentare ad una nuova udienza prevista per domenica mattina. Questo è quanto ha stabilito il giudice dello Stato di Vittoria Anthony Kelly. Il giudice ha ordinato ai funzionari di frontiera di non espellere il tennista fino all'esito della battaglia legale in corso. Ha anche ordinato ai legali di Djokovic di presentare e notificare le richieste e dichiarazioni giurate.

Tutto questo è avvenuto per le bugie dette dal giocatore numero uno al mondo di tennis sul suo stato di salute a riguardo della protezione contro il Covid-19 agli agenti di polizia aussies all’arrivo all’aeroporto di Melbourne nei giorni scorsi. Djokovic - noto no-vax e sostenitore di teorie strampalate e dal tocco new age come “l’abbraccio agli alberi” o “la modifica delle molecole dell’acqua grazie alle emozioni” - si era infatti presentato in Australia privo di vaccinazione anti Covid-19 (un obbligo per chi entra oggi nel Paese) e che con una documentazione “dubbia” sul fatto di avere lo status di guarito, acquisito da una seconda infezione avvenuta a metà dicembre. Da qui il fermo, la detenzione del giocatore in un centro per migranti e il rilascio dopo un ricorso presentato alla Corte federale australiana che invece ha ritenuto sufficiente la documentazione avanzata da Djokovic.

Il ministro australiano per l'Immigrazione Alex Hawke ha affermato di aver esercitato il diritto di tutela della salute pubblica dei cittadini e per questo ha fatto scattare l'articolo 133C con il quale è stato revocato nuovamente il visto al giocatore. Un atto che ne anticipa l'espulsione dal Paese. Se non farà ricorso, Nole ha poche ore per lasciare l'Australia, rischiando il confinamento in una struttura per migranti fino alla partenza. Di fatto sarà cancellato dal tabellone principale degli Australian Open.

Nole da pochi giorni aveva ripreso ad allenarsi in attesa dell’inizio del torneo (le partite del tabellone principale cominciano lunedì). Ma la storia non era certo finita. Anzi, in queste ore il governo aussies ha accertato nuove e gravi incongruenze nella versione del giocatore, avvistato in giro per il mondo quando era positivo al Covid-19, colpe scaricate poi sul suo clan e bollate come “errori amministrativi” e dette al momento del suo arrivo in Australia. Errori che potrebbero avere appunto anche un risvolto penale. Insomma, il governo australiano nei confronti di Djokovic vuole “andarci giù pesante”, a costo di scatenare un contenzioso diplomatico con la Serbia, perché non è piaciuto l’atteggiamento di sfida tenuto nei confronti di Canberra da parte di Nole e dal suo clan.

Oltre a questo c’è il pessimo esempio che Nole ha dato ai giovani e ai bambini, facendo passare il concetto che non vaccinarsi sia un bene e non un male, visto che solo gli antidoti in questo momento sono l’unica arma per proteggere se stessi e gli altri dalla malattia. Ma l’altra chiave di lettura di questa vicenda è tutta politica e riguarda il Djokovic dopo il tennis, visto che ha 35 anni e non ha ancora molte stagioni agonistiche da poter giocare. Perché sembra che tra Grande Slam e Grande Serbia, Nole potrebbe avere già scelto.

E a suggerire questa interpretazione della “telenovela” tennistica, sanitaria e politica che sta tenendo banco è stato Srdjan, padre di Novak, che prima ha accostato la figura del figlio a quella di “Spartacus” e poi ha affermato che «la Serbia è Novak e Novak è la Serbia». Non una frase buttata lì, se si pensa che la popolarità del numero uno del tennis mondiale nel suo Paese non ha eguali e non da un giorno. Una sovrapposizione fra personaggio e nazione che esce decisamente rafforzata dalla vicenda australiana e che apre per Djokovic uno scenario post tennistico diverso. In pratica, trasformando la sua trasferta australiana da un incredibile errore di comunicazione a un formidabile strumento su cui fondare il suo futuro post- tennistico.

Ma ci vuole un passo indietro. La Serbia, Paese in cui lo sport è il complesso di simboli prediletto dal nazionalismo, ha vissuto un 2021 da incubo soprattutto per mano dell’Italia, fra l’altro. Nell’amatissimo basket la Nazionale ha fal- lito l’accesso ai Giochi di Tokyo perdendo il match decisivo (a Belgrado) contro gli azzurri di Meo Sacchetti. Nel calcio ha fallito l’accesso agli Europei perdendo (a Belgrado) il match decisivo di qualificazione per mano della Scozia al quinto calcio di rigore. Nel volley maschile la Nazionale (campione d’Europa) era stata battuta dall’Italia 3-0 ed esclusa nel 2020 dai Giochi nel Preolimpico di Bari ed è stata sconfitta dalla Bulgaria guidata dal grande tecnico italiano Silvano Prandi, nel successivo torneo che avrebbe potuto riportarle nel gruppo olimpico.

E la squadra del volley femminile? Ha perso la finale dell’Europeo (a Belgrado) contro l’Italia di Paola Egonu. Pure lo stesso Nole, partito per centrare il Golden Slam (i quattro majors più l’oro Olimpico) è crollato contro l’amico Alexander “Sasha” Zverev ai Giochi e contro il russo Daniil Medvedev in finale a New York agli Open degli Stati Uniti. Mai come in questo momento la Serbia ha bisogno di un leader totale e Djokovic è inteso così dai suoi connazionali e sicuramente non solo per i venti Slam vinti. È l’uomo che incarna un sentire comune e, perché no, potrebbe pure candidarsi a guidarlo, quel sentimento. Il minimo comune denominatore della sua vita è questo, per il resto si adatta alle situazioni.

Leader del “neo veganismo-sportivo” (nel gruppo c’è anche anche Lewis Hamilton), ma contemporaneamente capace di andare a cena e farsi fotografare con Milan Jolovic, ex comandante dei Lupi della Drina, formazione militare che partecipò al massacro di Sebrenica. Non esattamente un pacifista vegano. NoVax convinto ma non dichiarato che però ha donato un milione di euro a Bergamo, città martire del Covid-19 nel 2020. Dominatore del tennis mondiale per anni e nel gruppo dirigente dell’Atp capace però di fondare pochi mesi fa (con il canadese Vasek Pospisil) la PTPA, una sorta di «corrente» concorrente di Atp, tesa, nelle dichiarazioni dei fondatori, a combattere per ottenere maggiori premi e opportunità per quei giocatori (dalla centesima posizione in su) che sono professionisti ma che col tennis non campano o quasi.

Djokovic è tutto questo e, per dirla come suo padre, tutto questo è la Serbia. Ecco perché è difficile non pensare a lui con un ruolo ben superiore a quelle di ex tennista nel prossimo futuro. L’identificazione fra lui e una nazione riporta alla mente (pur muovendo da presupposti diversi) quella di George Weah con la Liberia: uno sportivo leader che riassume nei suoi gesti il sentimento di un Paese e alla fine arriva a comandarlo. E la sensazione è che ogni passo di Djokovic che oggi potrebbe apparire falso ai più, nel suo prossimo futuro potrebbe non essere altro che l’ennesimo mattoncino posato nella costruzione di questo progetto, ovvero di diventare il nuovo leader della Serbia.

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