giovedì 15 settembre 2022
La grande questione della giustizia sociale, al centro del magistero della Chiesa, è disatteso in tutto l’Occidente. Rivedere la cultura dell’economia di mercato è dovere umano e di democrazia
Palma il Giovane, “Allegoria della Giustizia e della Pace”, 1620 circa

Palma il Giovane, “Allegoria della Giustizia e della Pace”, 1620 circa - Opera esposta nella mostra “La dea bendata ci vede benissimo” allestita alla Galleria Estense di Modena e visitabile da domani fino all’8 gennaio

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Dedicato al tema "giustizia", il Festivalfilosofia 2022 è in programma a Modena, Carpi e Sassuolo da domani a domenica 18 settembre. Giunto alla ventiduesima edizione, prevede 53 lezioni magistrali, 30 mostre, spettacoli teatrali, dialoghi, letture, attività per ragazzi e cene filosofiche. Gli appuntamenti saranno quasi 200 e tutti gratuiti. Fra gli ospiti Recalcati,, Cacciari, Bianchi, Ciotti, Carofiglio, Maffettone, Citran, Audegean, Natoli. In pagina anticipiamo un estratto dalla lectio di Stefano Zamagni in programma domani a Modena, Piazza Grande ore 15, in collaborazione con la Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali.

Il Festivalfilosofia di Modena, centrato quest’anno sul grande tema della giustizia, è un’occasione quanto mai felice per riflettere sulla vexata quaestio delle disuguaglianze. Dell’inquietante fenomeno dell’aumento sistemico delle disuguaglianze (di reddito, di ricchezza, di genere, culturali) sappiamo ormai quasi tutto: come si misurano; dove sono massimamente presenti; quali effetti vanno producendo su una pluralità di fronti, da quello economico a quello politico a quello sociale; quali ne sono i fattori causali principalmente responsabili. Non sappiamo però concettualizzarle, perché non ne conosciamo l’ontologia, e quindi finiamo per prenderle come qualcosa di connaturato alla condizione umana oppure come una sorta di male necessario. L’accettazione supina del factum toglie così ali e respiro al faciendum. E infatti assai modeste sono state finora le proposte credibili per porvi rimedio. Si pone la domanda: se la disuguaglianza aumenta non a causa della mancanza di risorse, né per una scarsa conoscenza di quel che si dovrebbe fare, a cosa essa ultimamente si deve e soprattutto perché non suscita tra la gente moti di ripulsa nei confronti di tale stato di cose? La risposta che si può giudicare convincente è che ciò sia dovuto alla continua credenza in due dogmi dell’ingiustizia. Il primo afferma che la società nel suo insieme verrebbe avvantaggiata se ciascun individuo agisse per il proprio interesse. Il che è doppiamente falso. In primo luogo, perché l’argomento smithiano della mano invisibile postula che i mercati siano vicini all’ideale della libera concorrenza, in cui non vi sono né monopoli né oligopoli, né asimmetrie informative. Ma tutti sanno che le condizioni per avere mercati di concorrenza perfetta mai sono state soddisfatte nella realtà e mai lo saranno. In secondo luogo, perché le persone hanno talenti e abilità diverse. Ne consegue che se le regole del gioco economico vengono forgiate in modo da favorire, poniamo, i comportamenti opportunistici, predatori, irresponsabili, accadrà che i soggetti la cui costituzione disposizionale è così connotata finiranno con lo schiacciare gli altri. L’altro dogma dell’ingiustizia è il credere che l’elitarismo vada incoraggiato perché genera efficienza. E dunque risorse, attenzioni, incentivi, premi devono andare ai più dotati, perché è a costoro che si deve il progresso della società. Giungono opportune, a tale riguardo, le parole profetiche pronunciate da Giovanni Paolo II nel suo ultimo discorso in pubblico, il 29 novembre 2004: «Una società che discrimina in base all’efficienza non è meno disumana di una società che discrimina in base al sesso, alla religione, all’etnia. Una società di umani che assicura il lavoro solamente ai più dotati, fisicamente e intellettivamente, non è degna di tale nome». Scriverà dieci anni dopo (aprile 2014) Papa Francesco: «La disuguaglianza è la radice del male sociale». La conseguenza è che da alcuni decenni è in atto nei Paesi dell’Occidente avanzato una distribuzione dei redditi verso l’alto che il Nobel A. Deaton ha denominato la «redistribuzione dello sceriffo di Nottingham». Che dire della meritocrazia, termine introdotto per primo dal sociologo inglese Michael Young nel 1958, e poi andato via via crescendo di rilevanza nel dibattito pubblico? Quello meritocratico, secondo il giudizio del suo stesso inventore, non può essere preso come criterio per la distribuzione delle risorse di potere, sia economico sia politico. Ben diversa è la meritorietà, che è il principio di organizzazione sociale basato sul criterio del merito e non già sul potere del merito. È certo giusto che chi merita di più ottenga di più, ma non tanto di più da porlo in grado di influenzare la formazione di regole del gioco, sia economico sia politico, che valgano poi ad aumentare le distanze. Quali ragioni morali si possono avanzare per contrastare l’aumento delle disuguaglianze? L’argomento avanzato da chi si riconosce nell’etica delle virtù - e chi scrive è tra questi - è che le disuguaglianze danno a chi più ha un potere di controllo sulla vita di chi meno ha, il che contraddice il principio di libertà. Ad esempio, chi controlla da posizioni monooligopolistiche i mezzi di comunicazione influisce sui modi in cui le persone 'vedono' se stesse e interpretano la società. Ora se si accoglie il principio che ciascun essere umano abbia un valore morale in quanto tale, indipendentemente dalle sue connotazioni sociali, si deve arrivare a concludere che le disuguaglianze violano quel principio in modo inaccettabile. Per terminare. La sfida di civiltà che ci viene dalla presa d’atto della triste realtà di cui sopra è quella di adoperarsi con coraggio e intelligenza per trovare i modi, che certamente esistono, per andare oltre, trasformando dall’interno il modello di economia di mercato che si è andato consolidando nel corso degli ultimi due secoli. Il fine da perseguire è quello di chiedere al mercato non solamente di essere in grado di produrre ricchezza, e di assicurare una crescita sostenibile, ma anche di porsi al servizio dello sviluppo umano integrale. (L’Italia è tra i Paesi europei meno capaci di contrastare sia il rischio di povertà sia la lotta alle disuguaglianze, nonostante destini il 28% del suo Pil alla spesa sociale, contro una media europea del 26,8%). Chi si sta spendendo a favore del paradigma dell’Economia di Francesco non condanna certo la ricchezza in quanto tale, non parla certo a favore del pauperismo. Tutt’altro. Piuttosto vuole discutere dei modi in cui la ricchezza viene generata e dei criteri sulla cui base essa viene distribuita tra i membri del consorzio umano.

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