martedì 26 marzo 2013
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Nel santuario di San Romedio in Val di Non, tra le montagne del Trentino, la comunità di suore prega e lavora, mentre una di loro solca ogni giorno, sotto il sole e la pioggia, il Rio delle Amazzoni per portare il Vangelo. Ci sono comunità che l’accolgono, altre che la scacciano perché abbarbicate attorno a un televisore, regalo di una delle tante sette che contrastano la presenza dei cattolici. Suor Franca è una missionaria, mentre Augusta, che l’accompagna, una ragazza della sua valle sfuggita al dolore per una mancata maternità e la codardia di un marito. Un giorno devi andare: è la voce che lei ha sentito dentro di sé ed è il titolo dell’atteso film di Giorgio Diritti, nelle sale da giovedì. Interpretato da Jasmine Trinca, che ha aderito a questo progetto «per il coraggio del regista nell’aver voluto affrontare qualche cosa di inedito, che non è facile mostrare». Inedita è l’apertura all’incontro e all’ascolto dei due personaggi femminili: lo sguardo di Augusta è inquieto, quello di suor Franca (la brava Pia Engleberth) sereno, nella dedizione a Gesù che l’ha chiamata a questo servizio nella Chiesa. La bellezza del film è anche dovuta agli ambienti, oltre che ai cuori delle persone.«Il film racconta stili e modi diversi di fare missione – precisa Miela Fagiolo D’Attilia, redattrice della rivista <+corsivo>Popoli e Missione<+tondo> e scrittrice – portandoci negli ambienti originali, in territori sperduti e aspri in cui suor Franca si spende aderendo totalmente alla realtà in cui vive la sua fede. C’è anche Padre Mirko, che cerca, invece, di creare business sviluppando, con l’aiuto di investitori italiani, un progetto per risollevare un’aerea depressa. Ma il valore del film è la sua capacità di rendere protagonista la vita quotidiana dei missionari, con i silenzi, le lentezze, le difficoltà, le malattie, abbracciati da contesti naturali immensi come l’Amazzonia, dove ricreano delle comunità umane nel nome del Vangelo».Il tema dell’andare è legato a quello del viaggio: per un missionario è nella natura della sua vocazione, per Augusta, che ha lasciato affrante la madre e la nonna in Italia, è una scelta controcorrente. Animata dalla ricerca di un senso: lo può trovare in Dio, in una amicizia, nell’appartenenza a una comunità. Chi ci guida alla scoperta del mondo di suor Franca è proprio questa ragazza tormentata che ha subito una forte cesura in Italia e parte per riscoprire dei valori che le sono mancati. È una spinta che la porta a perdersi in qualche modo tra le persone, nella favela di Manaus e nella natura, in cui l’uomo si scopre essere una piccolissima unità di misura e sente così la differenza tra se stesso e Dio. La natura ha un ruolo importantissimo, nel contrasto tra la chiusura gelida dell’Italia del Nord – che simboleggia anche un mondo afasico e sazio di cose – e l’apertura sconfinata dell’Amazzonia, nella quale le persone si smarriscono. «In questo perdersi, abbracciare un albero, ascoltare la terra, far parte di una comunità, come accade ad Augusta – commenta la studiosa – il film è pieno di contenuti missionari e parla, con grande rispetto, un linguaggio missionario, perché non giudica, non propone vincitori e vinti, racconta delle storie con i tempi delle persone che suor Franca incontra, che sono tempi lenti, vuoti per noi occidentali, che viviamo affogati e schiavi dell’orologio. Ma sono proprio questi, spesso, i tempi di Dio». Augusta li trova giocando sulla riva del fiume con un bambino, che poi se ne va.
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