giovedì 17 maggio 2012
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Va bene, abbiamo capito: la fine del mondo non sarà per domani. Se però, anziché di Apocalisse, parliamo del Diluvio universale, la prospettiva cambia bruscamente. Ce lo hanno dimostrato la tragedia di Fukushima e, prima ancora, lo tsunami in Indonesia, a sua volta trasfigurato in romanzi come Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère o in film come Hereafter di Clint Eastwood. E ancora, ecco la futuribile Venezia del dopo inondazione di La seconda mezzanotte di Antonio Scurati, oppure il mondo sommerso di L’anno del Diluvio di Margaret Atwood. «È un mito antichissimo, tornato d’attualità nel clima millenaristico dei nostri anni», spiega Raffaella Bertazzoli, ordinario di Letterature comparate all’Università di Verona e organizzatrice – insieme con il germanista Arturo Larcati  – del convegno «I volti delle acque: mitologie del Diluvio nelle letterature europee», che si svolge tra oggi e domani presso la Biblioteca civica della città scaligera (per informazioni biblioteche.comune.verona.it). In questo contesto, tra una relazione e l’altra, trova posto anche la presentazione del terzo volume di La Bibbia nella letteratura italiana, importante opera collettiva diretta da Pietro Gibellini per Morcelliana. Il nuovo tomo, curato dalla stessa Bertazzoli con l’italianista Silvia Longhi, prende in esame l’Antico Testamento  (pagine 434, euro 30,00) e smentisce, attraverso un ampio ventaglio di saggi, il luogo comune per cui i nostri autori avrebbero da sempre scarsa dimestichezza con la Sacra Scrittura. «Nulla di più falso – si accalora la professoressa Bertazzoli –. Non mi riferisco solo ai primi secoli della produzione in volgare, durante i quali l’influenza esercitata dalla Bibbia è evidente e per certi aspetti dominante. Ma anche in seguito situazioni e figure bibliche affiorano di continuo, sino a disegnare il quadro particolarissimo del Novecento italiano. Molta poesia del secolo scorso, infatti, è posta sotto il segno del sacro, una categoria che, pur confinando con il religioso, non è del tutto riconducibile ad esso. Personalmente, sono molto colpita dal successo di Erri De Luca, un autore non certo “facile” in termini di soluzioni stilistiche. Eppure i suoi libri, ricchissimi di riferimenti biblici, sono molto letti e amati. Segno, probabilmente, di come anche nella nostra epoca sia forte il desiderio di un atteggiamento serio di fronte a una realtà che altrimenti ci risulta incomprensibile e sfuggente».La riflessione si applica anche al Diluvio, che nel volume di Morcelliana è oggetto di uno studio di Chiara Concina. Qui ci si imbatte, tra l’altro, in un testo oggi dimenticato, Il Diluvio Universale cantato con nuova maniera di versi, pubblicato dall’erudito Bernardino Baldi nel lontano 1604. Barocco fin dal titolo, dunque. E per molti aspetti rivelatore. «In generale – afferma Raffaella Bertazzoli – ripercorrere la storia culturale del cataclisma archetipico significa ricostruire l’evolversi dei modelli di civilizzazione, in un percorso che coinvolge opere e scrittori di ogni tempo e nazione. Al convegno, per esempio, ci occuperemo del gesuita Athanasius Kircher, che nella seconda metà del Seicento cercò di ricostruire in dettaglio lo svolgimento del Diluvio, cercando anche di determinare le esatte dimensioni dell’Arca di Noè. Più di recente, a partire dagli anni Ottanta, è prevalso un modello di interpretazione del tutto differente. Sulla scia di un celebre intervento del tedesco Günter Kunert, l’Arca si è identificata sempre più spesso con la poesia o, meglio, con la possibilità di salvezza che l’arte esprime rispetto al mondo contemporaneo». Neppure lo scetticismo del postmoderno sfugge a questa suggestione. «Al contrario – replica la studiosa –. Basti pensare a Julian Barnes, che ha scelto di raccontare il Diluvio dal punto di vista di quanti dall’Arca sono rimasti esclusi. Un sentimento di insensatezza che si è ripresentato con ulteriore drammaticità in occasione dei maremoti nel Sud-Est asiatico e in Giappone, costringendoci a fronteggiare nuovamente una domanda che ritenevamo ormai inimmaginabile: di quale colpa ci siamo macchiati per meritarci questo?». E la risposta qual è? «Ce n’è una immediata – replica la professoressa Bertazzoli –, relativa al rapporto dell’uomo con la natura. Data questa chiave, le catastrofi sarebbero la conseguenza dell’aggressione verso il Creato. Anche su questo tentativo di spiegazione incombe però il dilemma che più di ogni altro si lega tradizionalmente al Diluvio, e cioè la teodicea, l’interrogazione radicale con cui l’uomo chiede conto a Dio della presenza del male nel mondo. È la grande questione che nel Settecento fu sollevata dalla distruzione di Lisbona, con la differenza che oggi la teodicea non è data per scontata. Piuttosto, emerge come esigenza, se non addirittura come provocazione».
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