giovedì 7 settembre 2023
La critica bollò le mele di Cézanne come piene di errori. E così stiamo giudicando l’arte delle macchine
Paul Cézanne, "Natura morta", 1890-1893 (particolare)

Paul Cézanne, "Natura morta", 1890-1893 (particolare) - WikiCommons

COMMENTA E CONDIVIDI

Nel valutare fatti ed eventi ci capita spesso di scambiare per difetto il potenziale più innovativo che essi portano con sé. Lo scarto di comprensione dipende dalla resistenza verso ciò su cui crediamo di non aver controllo. Questo è un processo chiave nei cicli della storia destinata a fare conti sempre tardivi con quello che al principio non si è riconosciuto. Le mele di Cézanne erano uno scandalo per i dettami della École des beaux-arts e della maggioranza, collettivo acritico devoto in ogni tempo alle consuetudini. Salvador Dalì, non proprio uno qualunque, definiva Cézanne come quello che non sapeva fare le mele tonde.

La sua riscrittura della forma non dava più conto delle gerarchie formali consolidate, il volume, il colore, la verosimiglianza e così via. Il caso Cézanne è molto specifico perché, diversamente dalle innovazioni operate poi da altri fronti artistici che avrebbero reinventato la realtà attraverso schemi del tutto distanti dall’apparente, come i cubisti, rilanciava la sua sfida estetica a partire proprio dai canoni intoccabili della rappresentazione, chimera che ancora oggi anestetizza tanti nella confortevole e mortale illusione di un visibile autocratico che o è così o non è. Prendeva una mela, non la sua scomposizione o un suo rimando personalizzato, e pretendeva di scombinarne le convenzioni. Inutile dire che la mela i cui volumi diventavano terreno di speculazione filosofica intrisa in una pittura di fango (si diceva molto peggio) scatenava impulsi distruttivi nei paladini di tutte le ortodossie ottuse e riconosciute.

Ho avuto occasione di leggere un compendio di critiche del tempo, impressionanti per gli eccessi di acrimonia. Al di là della vicenda di un pittore il cui destino avrebbe relegato gente come Bouguereau nei recinti limitati dell’accademia più retriva, sia pure parigina, la dinamica dell’errore che si rivela fondamento di un pensiero nuovo è questione estremamente attuale. Nel 2020 mi ero interessato a uno dei primi esperimenti narrativi generati dalle IA di allora, Twinkle Twinkle. Leggendo le recensioni di critici come Andy Ward per “Random House”, avevo sposato tutte le considerazioni riguardo legnosità e incongruenze della breve novella tecnologica.

Come il critico, identificavo tutti i gradienti di imprecisione che separavano il racconto IA da un ipotetico corrispettivo umano come dimostrazioni di una supremazia estetica e morale, un conforto riguardo la superiorità dell’uomo sulle macchine. Sono dovuti passare tre anni e molte riflessioni per rendermi conto che quei difetti erano, sono e saranno invece i capisaldi di un nuovo modo di articolare i linguaggi e le sintassi. Il mio errore come quello del critico letterario e degli accademici di Francia è affrontare la sfida cognitiva con il dio è con noi di convenzioni del tutto soggettive e circostanziate, distanti anni luce dal rappresentare regole generali di un presunto modo giusto nell’interpretare la realtà. Certamente se immaginavamo il digitale come un ausilio per regolare il frigo a distanza o far sparire un neo in qualche editing, ci siamo sbagliati. Sotto i nostri sguardi miopi, in parallelo alla moltiplicazione esponenziale dei singoli elementi sintattici, si sta via via evolvendo un compendio aperto di infinite architetture estetiche con cui è possibile ricomporre proposizioni di ogni tipo, visive, letterarie, musicali, sociali e così via.

La sensazione è di aver perso i punti d’appoggio e l’equilibrio, bilanciata dalla presa d’atto (per molti ancora blasfema o del tutto incomprensibile) dell’apparire di un mondo inedito, talmente inedito da risultare intraducibile con gli alfabeti comunemente frequentati. Se tutto è possibile non vuol dire che tutto funzioni, ma di certo sta cambiando il significato intrinseco del verbo funzionare, sempre più dipendente dal novero delle possibili riletture. Se identifico qualche significato in un agglomerato sia pure temporaneo di dati, allora il significato c’è, identificabile in quel momento nella ricomposizione istantanea dei mille frammenti a disposizione. Non tutti gli errori hanno il crisma generativo della scoperta, ma succede più spesso di quanto noi crediamo. Nuovo è una parola abusata oltremodo e in ogni dove, eppure in molti genera ancora il terrore atavico di essere messi in discussione, perché la mela è tonda, anzi deve essere tonda. La conseguenza più salutare del mondo che stiamo percorrendo è che il processo di scombinare le carte, grazie ai potenti tentacoli di mercati inarrestabili per una volta sodali alla rivoluzione più esaltante e pericolosa di babele, si muove senza curarsi di nessuno.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: