venerdì 29 giugno 2012
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Pensavamo fosse un calesse, e invece tra noi e questa Nazionale è riscoccata la scintilla dell’amore. A prescindere da come andrà la finale con la Spagna, Cesare Prandelli ha già stravinto. Lo ha fatto con la forza dell’oratorio, l’umiltà della provincia e la filosofia del calcio “prima di tutto come gioco” innestata in un gruppo che segue il suo ct come un fratello maggiore e ne ascolta attentamente i consigli tattici e paterni. Dopo il blackout del 2010 eravamo arrivati a questo appuntamento con un’immagine giovane e sbarazzina, ma anche un po’ acerba, di chi comunque avrebbe dovuto faticare per rientrare almeno nel G8 del calcio europeo. Quando siamo passati al G4, alle semifinali, pensavamo fosse già un successo, ma aver centrato la finale di Kiev certifica la rinascita del calcio italiano e soprattutto di una nuova cultura sportiva. La Nazionale insegna a tutto il movimento che si può e si deve osare, che è finito il tempo del difensivismo esasperato, perché nel calcio moderno vince chi ha il coraggio di costruire e di attaccare, senza naturalmente perdere gli equilibri, in difesa e a centrocampo. Questi due reparti rimangono comunque il nostro storico marchio di fabbrica. Non abbiamo un Cannavaro da Pallone d’Oro, ma il blocco Juve (Chiellini, Barzagli e Bonucci) ha dimostrato, qualora ce ne fosse stato bisogno, che il nostro ministero della difesa è ancora al vertice internazionale. Solo 3 gol subiti in 5 gare, pur affrontando la Spagna campione del mondo e d’Europa in carica e lo spettro Germania che veniva dato come il miglior prodotto interno del calcio tedesco di tutti i tempi. A centrocampo abbiamo mostrato all’Europa due campioni del mondo, Pirlo e De Rossi, che non hanno nulla di meno dei “marziani” spagnoli Xavi e Iniesta. Mancava il Pippo Inzaghi della situazione, l’uomo d’area che concretizzasse la minima parte di quella media industriale di quasi 25 tiri a partita indirizzati alla porta avversaria, e invece abbiamo ritrovato un grande Balotelli. Non è ancora un genio del calcio come crede, ma quando vuole sa essere devastante, come tutta l’Italia che pensavamo fosse matura solo per Brasile 2014 e invece ora rischia di bruciare le tappe e di laurearsi campione d’Europa. Prima c’è da battere la Spagna, palleggiatrice sublime, quanto noi, ma che fa fatica ad andare in gol. C’è da abbattere anche un tabù, quello che non ci vuole campioni d’Europa dal 1968. Un anno di rivolta studentesca, la stessa che avvertiamo in questa magnifica scapigliatura del calcio sano e ancora etico, che con passione ed amore ha costruito il nostro Cesare.
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