domenica 11 settembre 2016
Venezia stregata dai tempi di Diaz
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Il cinema d’autore stilisticamente più audace e sperimentale, in bianco e nero, che non accetta compromessi e sfida il mercato con formule narrative tutt’altro che scontate, ma anche il pubblico chiamato a un impegno di non di poco conto, ha conquistato la giuria della Mostra del Cinema di Venezia presieduta da Sam Mendes e di cui ha fatto parte il nostro scrittore Giancarlo De Cataldo. Il Leone d’oro della 73ª edizione è andato infatti a The woman who left del regista filippino Lav Diaz (già vincitore con il suo film precedente di un importante premio pochi mesi fa al Festival di Berlino) che a partire da un racconto di Tolstoj, Dio vede la verità ma non la rivela subito, racconta in quasi quattro ore criminalità e corruzione, paura e crudeltà del suo paese attraverso la storia di una donna ingiustamente imprigionata per trent’anni e alla ricerca del figlio che non vede da tempo. Un film bello e difficile, capace di restituire la profondità di un’odissea umana che diventa metafora di un percorso più universale. Di pochissime parole, il regista ringrazia per il Leone e sorride soddisfatto dedicando il premio al popolo filippino, alla sua lotta e alla lotta dell’umanità. Gran Premio della Giuria invece per Nocturnal animals di Tom Ford che con una scelta narrativa assai originale racconta il dolore di un cuore infranto, una sottile vendetta letteraria e la perdita degli ideali giovanili sepolti sotto il bisogno di sicurezze e benessere materiale. «Mi sono trasferito in Italia nel 1990 e in questo Paese ho vissuto alcuni dei migliori anni della mia vita. L’Italia è la mia seconda casa. È dunque un immenso onore accettare questo premio, sono molto emozionato», ha detto commosso lo stilista americano al suo secondo film da regista.  Meritatissimo il Leone d’argento per la migliore regia a Il Paradiso del russo Andrel Koncalovskij, che con l’intreccio di tre destini umani durante l’Olocausto, anche questo osservato in bianco e nero, è forse il film più bello di questa Mostra, mentre decisamente discutibile è l’ex aequo con il provocatorio La región salvaje del messicano Amat Escalante, che intreccia confusamente riflessioni sul potere del desiderio con crudi fatti di cronaca. «Dedico il film – ringrazia Koncalovskij parlando in italiano – alla memoria dei figli della grande patria russa che hanno sacrificato la propria vite per salvare quella di tanti bambini ebrei dal nazismo». Ottima la scelta di premiare con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione l’americana Emma Stone, che balla e canta nell’entusiasmante musical La La Land di Damien Chazelle visto in apertura di festival, e l’argentino Oscar Martínez per Il cittadino onorario di Mariano Cohn e Gaston Duprat, storia di uno scrittore premio Nobel che tornato dopo quarant’anni nel suo Paese natale scopre quanto odio e rancore si nasconda nella sua gente chiamata a celebrarlo. «È una grande soddisfazione ricevere un premio così prestigioso in questo paese che grazie a una magica costellazione di autori geniali, unica del mondo, ha prodotto il migliore cinema del ventesimo secolo», ha commentato l’attore, accolto da una vera e propria ovazione. Stati Uniti ed Europa camminano dunque fianco a fianco, ma con due premi il cinema sudamericano conferma la propria ritrovata vitalità già dimostrata negli ultimi festival internazionali dove molti riconoscimenti hanno dato vigore a una cinematografia per lunghi anni esclusa dalle competizioni cinematografiche. Migliore attrice emergente è invece la tedesca Paula Beer, protagonista di Frantz di François Ozon, dramma storico (anche questo in bianco e nero, il terzo fra i premiati) ambientato all’indomani della Prima guerra mondiale, quando una giovane vedova incontra e si innamora del soldato nemico che ha ucciso il marito al fronte. Jackie, il film che il cileno Pablo Larraín ha realizzato su Jacqueline Kennedy raccontandola nei quattro  giorni che seguirono l’assassinio del Presidente Usa, ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura firmata da Noah Oppenheim, mentre il superficiale e sconclusionato The bad batch di Ana Lily Amirpour, ambientato in un futuro distopico popolato da cannibali senza tetto né legge, ha vinto il premio della Giuria, fischiatissimo dagli addetti al lavori. Niente premi dunque per l’Italia nella competizione di Venezia 73, ma il documentario Liberami di Federica Di Giacomo su padre Cataldo, richiestissimo esorcista di Palermo, è il miglior film della sezione Orizzonti («Dedico il premio alle persone che mi hanno regalato un pezzo della loro vita e a padre Cataldo, uomo di grandissima passione», ha commentato la regista) che vede tra i vincitori anche Home del belga Fien Troch, cruda storia di disagio familiare, e Big big world del turco Reha Erdem, che ruota intorno alla fuga di due giovani che tentano di sottrarsi a una realtà troppo dura da affrontare immergendosi in una natura quasi fiabesca. La migliore sceneggiatura è quella di Bitter money del cinese Wang Bing e i migliori attori sono Nuno López protagonista di São Jorge, storia di riscatto e speranza nel Portogallo della crisi economica, e la spagnola Ruth Díaz per Tarde para la ira, storia di una vendetta a lungo pianificata. La migliore opera prima infine, premiato dalla giuria presieduta da Kim Rossi Stuart, è il tunisino The last of usdi Ala Eddine Slim, storia di un uomo che tenta di arrivare illegalmente in Europa su una barca, selezionato dalla Settimana della Critica.
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