venerdì 26 novembre 2021
In un libro la storia di un club “scomodo”, quello della comunità repubblicana della città nordirlandese: osteggiato dalle élites unioniste-protestanti, dal 1985 è emigrato nel campionato irlandese
I tifosi del Derry FC, squadra che oggi milita nel massimo campionato irlandese di calcio

I tifosi del Derry FC, squadra che oggi milita nel massimo campionato irlandese di calcio

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Ci sono stadi in cui il pallone è più pesante che altrove. Non perché si gioca con sfere di cuoio dure come pietre, ma per il “peso” della storia e degli scontri politici che rimbalzano anche sul calcio. A Derry, in Irlanda del Nord, le partite non finiscono mai, perché continuano nella vita di tutti i giorni. Qui un gol ha spesso finito per scatenare disordini e le provocazioni sugli spalti non di rado sono sfociate in guerriglie fuori. Un clima avvelenato da quel dualismo identitario che taglia in due la realtà nordirlandese: da un lato gli unionisti e i lealisti con il Regno Unito, per lo più protestanti e discendenti dai coloni provenienti dalla Gran Bretagna, dall’altro i repubblicani, autoctoni, e principalmente cattolici, favorevoli a un’Irlanda unita e indipendente. Dalla fine degli anni Sessanta fino agli anni Novanta, il conflitto tra le due comunità, “ The Troubles”, ha distrutto famiglie intere, lasciando a terra senza vita oltre tremila persone e causando più di 50mila feriti. E anche l’accordo di pace del Venerdì Santo nel 1998 non ha spento del tutto le tensioni, che si avvertono ancora negli stadi, come dimostrano i reciproci cori di scherno tra tifoserie unioniste-protestanti e repubblicane-cattoliche. Non si può dunque ripercorrere l’epopea del Derry City Football Club senza far riferimento alle vicissitudini del contesto che spiegano anche il travagliato cammino della società calcistica. Per avere un’idea di quanto il rettangolo di gioco faccia parte delle turbolenze di questa città è utile leggere l’interessante volume di Gianluca Cettineo Derry City F.C. Calcio, repressione e rivolta (Urbone Publishing, pagine 308, euro 15). Un saggio appassionato per una «squadra scomoda» (come dice la copertina), nata e cresciuta «nella parte ritenuta sbagliata dell’Irlanda del nord».

Tutto comincia già nel 1600 quando gli inglesi danno il via al loro piano colonizzatore (“ The plantations”) che investirà perfino il nome della città: da Derry a Londonderry, in omaggio a Londra, capitale dell’impero britannico. Dopo secoli di soprusi nei confronti della cultura locale, gaelica e cattolica, una nuova beffa arrivò nel 1921 con il trattato anglo-irlandese. L’Ulster fu diviso: tre contee entrarono a far parte dello stato libero d’Irlanda, le altre sei restarono legate al Regno Unito formando l’Irlanda del Nord. Derry rimase intrappolata di 3 miglia all’interno del confine nordirlandese. Era inevitabile che a farne le spese ci fosse anche il club della comunità repubblicana, il cui cuore è la zona nota come “Bogside”. L’anno di battesimo della società col nome di Derry F.C. è il 1928 (negli anni precedenti la squadra nelle serie minori aveva assunto altre denominazioni: St.Columbas hall Celtic e poi Derry Celtic F.C). I colori delle casacche, bianche con sottili righe rosse, furono mutuati dallo Sheffield United, in onore di mister Billy Gillespie che era stata una stella della squadra inglese. Ai tifosi quelle maglie ricordavano tipiche caramelle bianche con le strisce rosse e questo spiega anche il soprannome dei giocatori del Derry: “ The Candy Stripes”. Ma in un’Irlanda del Nord che era nata per essere una patria unionista e monarchica, non poteva essere tollerato che la minoranza indipendentista e cattolica potesse emergere in qualsiasi settore, anche nel calcio. E così il primo club a pagare il proprio successo fu il glorioso Belfast Celtic, che nel 1948 venne costretto a scomparire. Di lì a poco l’ostracismo sarebbe stato lampante anche per il Derry.

Soprattutto quando la squadra nel 1965 si laureò campione dell’Irlanda del Nord per la prima volta. Un trionfo che andava ben oltre l’ambito sportivo e dava fastidio. Come sempre del resto quando una squadra legata ad ambienti indipendentisti saliva in auge. Era inoltre inaccettabile per le élites unioniste-protestanti la politica societaria dei club di stampo repubblicano di tesserare giocatori di qualsiasi confessione religiosa. E difatti il Linfield o i Glasgow Rangers in Scozia esclusero i calciatori cattolici fino agli anni Novanta. Il primo eclatante colpo basso subìto dal Derry ci fu nell’estate del 1965 quando il club debuttò nella prestigiosa Coppa dei campioni. Era davvero un traguardo impensabi-le: «Il ghetto del Bogside - scrive Cettineo casa dei disadattati e degli oppressi, con la sua povertà la sua disoccupazione dilagante, le sue case a schiera, Rossville flats e i pub fumosi dove l’alcolismo la faceva da padrone, aveva la propria squadra di calcio nella massima competizione continentale». Ci pensò la lega calcio nordirlandese a rovinarne la festa. Senza nessuna giustificazione dichiarò il Brandywell, lo stadio del Derry, non idoneo alle competizioni europee, impedendo così al club di disputare la gara di ritorno degli ottavi in casa contro l’Anderlecht. Unica alternativa concessa: giocare a Belfast. Ma il Derry rifiutò e venne squalificato d’ufficio dalla competizione. Era solo il preludio ad altri terribili eventi storici. Perché Derry è anche la città del “ Bloody Sunday”: domenica 30 gennaio 1972 i paracadutisti britannici aprirono il fuoco contro dimostranti indipendentisti disarmati. Alla fine saranno quattordici le vittime metà delle quali minorenni. Una strage (riconosciuta dal governo inglese solo nel giugno 2010) che ispirò anche una struggente ballata degli U2, intrisa di rabbia e speranza, in cui il sacrificio di Derry è paragonato a quello di Cristo morto e risorto.

Il 1972 sancì anche la fine del Derry City F.C nel campionato nordirlandese. Già l’anno precedente, dopo una serie di scontri con le tifoserie unioniste, il club era stato obbligato a giocare tutte le partite in trasferta, a Coleraine, città a maggioranza protestante. L’esilio forzato determinò anche una crisi finanziaria insostenibile che spinse la società a ritirarsi dal campionato. Ma questa è la storia di «un club che visse due volte». E così dopo tredici interminabili anni arrivò il giorno della rinascita: l’8 settembre del 1985 il Derry, con il lasciapassare della Fifa, esordì in una lega calcistica “straniera”, quella irlandese. La realizzazione del sogno repubblicano è avvenuta dunque su un campo da calcio. E oggi Derry è anche l’unica città ad avere due squadre di calcio che militano in campionati di due nazioni diverse: il Derry City nel campionato irlandese e i protestanti dell’Institute F.C nella lega nordirlandese. Un nuovo inizio segnato perfino da una tripletta da leggenda: il “ treble” del 1989 quando il Derry conquistò nello stesso anno campionato, coppa di lega e coppa nazionale. Un anno memorabile per la caldissima tifoseria biancorossa, punto di forza di questa società indomita, tenuta in vita anche nei momenti più cupi dal calore e dalla generosità della sua gente. Perché questa è una comunità che è stata segregata e messa all’angolo ma che ha “preso a calci” paure e sofferenze trovando nel pallone il proprio riscatto.

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