giovedì 15 settembre 2016
​Nel nuovo romanzo dello scrittore inglese l'arte e le sue immagini dell'orrore e del male diventano per un pluriassassino il banco di prova per rappresentare la propria perversione.
Metti in scena il delitto e troverai la verità
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Il pluriassassino, Morris Duckworth, ormai imprenditore facoltoso nonché cittadino onorario di Verona, presenta la sua proposta per una mostra d’arte al direttore del museo di Castelvecchio. «Sono momenti di transizione», disse Morris. Il direttore del museo temeva che una mostra incentrata esclusivamente su morti e omicidi potesse apparire limitata. Avrebbero accusato il museo di morbosità e cattivo gusto. Il pubblico si sarebbe tenuto alla larga. Sarebbe stato difficile trovare degli sponsor. «Niente affatto», gli assicurò Morris. Sarebbe stata una mostra innovativa e audace. «E lo sponsor sarò io». Una massa fino ad allora inerte fu come galvanizzata da una scossa elettrica. Spaparanzati su una poltrona girevole da manager, innumerevoli chili di ciccia sussultarono e poi si irrigidirono. «L’unico sponsor, signor Duckworth?». «Sì, se necessario, dottor Volpi. La prego di non sottovalutare il mio impegno nei confronti della città di Verona e della cultura in generale, oltre al fatto che vorrei davvero meritarmi la mia, ehm, cittadinanza onoraria». Tra le cicatrici che rendevano Morris così interessante si aprì un sorriso. La sua amante Samira gli era seduta accanto. Con la sua giacca formale, la gonna attillata e il portfolio delle opere in mano, sembrava sveglia, luminosa e molto molto araba. Volpi si tolse gli occhiali che, invece di agganciarsi dietro alle orecchie, sembravano inserirsi nei grossi cumuli di carne accanto gli occhi. L’obesità è un delitto, rifletté Morris, un insulto a Dio, visto che noi tutti siamo stati creati a sua immagine. «Ha la minima idea, signor Duckworth», sospirò il direttore con la sua parlata napoletana trascinata, carica di roca ironia, «di quanto costino queste cose: il trasporto e l’assicurazione di opere d’arte inestimabili; il restauro di questo o quel capolavoro in cambio del prestito; la promozione necessaria per raggiungere un pubblico nazionale, per non dire internazionale?». Si rimise gli occhiali e rivolse uno sguardo torvo a Samira, poi si sporse sulla scrivania verso di lei alzando un sopracciglio perentorio. Senza dire nulla, la faccia perfettamente inespressiva, Samira gli porse il portfolio. Morris tenne la bocca chiusa. Non si sarebbe degnato di rispondere. Il dottor Volpi aprì la cartellina e iniziò a sfogliare. Guardando un’immagine, all’improvviso trattenne il fiato, grugnì e scosse la testa. Che becera teatralità, pensò Morris. Ora il direttore si leccava l’indice per girare le pagine sempre più rapidamente. Andò avanti così per qualche minuto, poi si fermò. «Curiosa, signor Duckworth, davvero curiosa. Onestamente non ho mai ricevuto una proposta del genere». Morris profuse un ampio sorriso. «Curiosa e, ahimè, impossibile». Morris trattenne il sorriso. «Giotto, Botticelli, Caravaggio» – nell’elencare i nomi il direttore si dondolava adagio avanti e indietro – «Tiziano, Poussin, Delacroix » – ogni pittore era accompagnato da una piccola scossa del capo – «Bouguereau, Brueghel, Cézanne». Alzò lo sguardo: «Più vari artisti minori». «Artemisia Gentileschi», precisò Morris. «Certo, certo, l’incantevole Gentileschi, così abbiamo uomini e donne». «Uomini e una donna». «Una basta e avanza», opinò Volpi. Aggrottò la fronte e poi, con intempestiva cortesia, aggiunse: «Specialmente se è affascinante come la signorina El Zaiwud». «Al Zuwaid», lo corresse Samira. «Ah», tossì Volpi. «Certo, chiedo scusa». I seni dell’uomo sussultarono. «Dove ero rimasto? Dipinti a olio, incisioni, sculture. Regicidio, parricidio, matricidio, fratricidio, uxoricidio, martirii, esecuzioni capitali, assassini con scasso, assassini con stupro…» «Infanticidio», intervenne Morris. « La strage degli innocenti di Pietro Testa è potentissima, non crede?». «Un neonato trafitto non può non impressionare», concesse Volpi. «Tornando al suo elenco, però, dottore», chiese Morris, «sotto quale categoria metterebbe la morte di Penteo? Si possono accusare le Baccanti di linciaggio?». «Idioticidio?». «Geniale!», rise Morris. «E allora, cos’altro c’è?». Pronto a lanciarsi in un altro elenco, il direttore si bloccò. «Pugnali?», propose Morris. «Spade, fucili, chiodi, martelli, pietre, frecce, e, ehm, mani nude. Strangolamento».  Nel momento esatto in cui pronunciò quella parola, una domanda risuonò con estrema chiarezza nella mente di Morris: io ne avrei la forza? Riuscirei mai a strangolare qualcuno? Di certo il collo del dottor Volpi era troppo massiccio. Per quello ci sarebbe voluto il pugnale. «Grazie, signor Duckworth. E parlando di come radunare tutta questa, ehm, curiosa fantasmagoria, abbiamo, vediamo un po’, il Louvre, gli Uffizi, la National Gallery, il Metropolitan, il Rijksmuseum». «Il Prado, il Tate, il Frick», aggiunse Morris. «Esatto». Il direttore gonfiò le enormi guance ed espirò sonoramente. «È troppo, signor Duckworth». «Per una sola visita, senz’altro», sorrise Morris. «Li faremo tornare più volte. A proposito, qual era il dipinto che l’ha fatta ridacchiare? ». Con i gomiti sulla scrivania, ora Volpi si massaggiava delicatamente il mento con la punta delle dita. «Von Stuck», ammise. «Ah, sì. Uno dei cinque Oloferne, credo». «Direi più Giuditta, in questo caso», osservò Volpi. «Stuck non perdeva mai l’occasione per dipingere le pudenda». «Ovviamente, professor Volpi» – Morris era deciso a insistere sulla propria serietà, «una sezione della mostra prevedrà un confronto tra immagini di uomini che uccidono donne e di donne che uccidono uomini, magari su pareti opposte. Oppure a coppie. La violenza umana è spesso legata al sesso, non crede?». Di colpo Volpi iniziò a scuotere la sua grossa testa. «Adesso basta, Signor Duckworth. La cosa non è fattibile. Questo è un museo serio. Non darò mai il consenso a una mostra che verrebbe interpretata dai più come frivola, se non proprio morbosa o meramente sensazionale ». Morris distese le gambe e poi le accavallò di nuovo. Per un po’ sembrò assorto nei suoi pensieri. «Non sono certo», disse alla fine, con grande circospezione, come uno che cerca di non offendere, «che sia corretto accostare l’avverbio “ meramente” all’aggettivo “sensazionale”, dottor Volpi. Lei che ne pensa? Quello che cerca la gente quando entra in un luogo come Castelvecchio e paga i suoi dodici euro o giù di lì, è proprio il sensazionale». Esitando, aggiunse: «Perdoni la pedanteria, professore, ma ho iniziato la mia, ehm, carriera, spero che sia lecito chiamarla così, come umile insegnante di inglese. Quindi sono molto attento alle parole. “Frivola”, per esempio. Siamo proprio sicuri che nell’epoca dell’assassinio di Osama Bin Laden, del colonnello Gheddafi e forse anche di Lady Diana, e andando un pochino indietro della signora Gandhi, John Lennon, Martin Luther King, Aldo Moro, Giovanni Falcone, il presidente Kennedy – un’epoca, per di più, ossessionata da serial killer, violenza settaria e genocidi, siamo sicuri di poter definire il tema dell’assassinio frivolo? Dietro questa mostra c’è un importante messaggio morale, per come la vedo io: che quando una società, o anche solo un rapporto tra uomo e donna, è in una fase di stallo o di conflitto e non riesce a cambiare di comune accordo, qualcuno tirerà fuori un coltello o un fucile, o peggio ancora si legherà una bomba intorno alla pancia». Pronunciando la parola pancia, Morris farfugliò, tanto era evidente e grottesco l’esemplare della specie esibito da Volpi. Figuriamoci una bomba legata intorno a quella!
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