mercoledì 28 settembre 2016
​Mentre in Francia continua la pubblicazione della sua opera omnia un profondo testo dell'autrice parigina sull'essere nella Chiesa.
Delbrêl, la sposa mistica
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Se oggi occorresse dare un nome alla nostra famiglia, non sono sicura che sarei d’accordo nel darle quello che ha («Carità di Gesù», ndr). Ma se dovessi dire cosa vorrei che fosse, sarebbe ciò che questo nome vuol significare. Sono ossessionata dal duplice mistero in mezzo al quale la nostra vita deve passare come una linea dritta: il mistero della Carità e il mistero della Chiesa. Credo che non abbiamo che una sola ragione di esistere: vivere la carità nella Chiesa.

Se non lo facciamo, o se vi aggiungiamo qualcosa, non val la pena di esistere. Non credo che ci sia un’altra piccola famiglia che non abbia scelto d’essere nient’altro che questo, ma d’esserlo assolutamente, stando insieme nella diversità. Se non lo facciamo, questo mancherà nella Chiesa, e se facciamo qualcos’altro, siamo un doppione e non vale la pena. Nella Chiesa, Sposa di Cristo, è tutta l’umanità che è chiamata al suo amore. Ogni battezzato partecipa a quest’amore nuziale. Con tutti i religiosi, con tutte le persone consacrate, abbiamo deciso di accontentarci di questo solo amore. Se non dedichiamo a lui tutt’intero il nostro esistere, o se non vi corrispondiamo totalmente nelle dimensioni che gli sono proprie, siamo celibi che non servono alla diffusione della vita, né della Vita eterna. 

All’alba del Nuovo Testamento, Giovanni Battista diceva: «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo...» (Gv 3,29). Increduli migliori di noi e cristiani migliori di noi non sono stati chiamati a vivere in pienezza il mistero della Chiesa sposa di Cristo. Sono come l’amico che gioisce.

La nostra tentazione sarebbe forse quella di sbagliare circa la nostra vocazione e prendere quella di amico. Quali che siano le cose che lo Sposo offre ai suoi amici, fiducia, confidenze, responsabilità: è a sua moglie che dona il suo nome, perché sia ciò che è lui, faccia quello che fa, e trasmetta la sua vita attraverso di essa. (...). Non è perché lei ascolta il marito e lo guarda che lo sposo è sposo, ma perché lei lo conosce in modo diverso. Gli occhi dell’amico saranno forse migliori dei suoi, e la sua intelligenza comprenderà forse meglio ciò che dirà lo sposo. Ma ciò che saprà la sposa, lui non lo saprà.

Ed è questo che sa la Chiesa e che noi conosciamo in essa e che è la Fede. L’amico può aspettare il marito, è la donna che lo desidera, che lo 'spera'. Lei non si aspetta qualcosa da lui, lo spera, per vivere in modo diverso. Il desiderio della Chiesa è la Speranza, e ne è talmente arsa da non poter desiderare altro. L’amico può essere ricco o povero, può essere libero o schiavo, la donna non può che essere povera e non può che obbedire. L’amore per lei è una povertà che solo il marito può arricchire. 

 La creatura che porta in grembo e fa crescere si stacca da lei e la lascia di nuovo povera. L’amore è per lei un’obbedienza: passivamente viene fecondata e allo stesso modo partorisce. La Chiesa è nel mondo la grande povera e la grande obbediente e in essa noi non possiamo trovare l’amore senza povertà e senza obbedienza. Non è solo confondendoci tra il Regno dei Cieli e la Città terrena che noi smettiamo di stare con la Chiesa sposa per diventarne degli 'amici'. Questo accade anche quando la povertà, l’obbedienza e la purezza diventano cose 'in sé' e non condizioni per amare.

E ciò succede anche quando la Fede e la Speranza – che sono ottimi modi per amare, ma destinati a passare – sono da noi vissute troppo debolmente o in modo incompleto e ci lasciano a metà strada. L’amico è colui che, con il relativo, fa dell’assoluto. 

Noi non ne abbiamo il diritto. Ma se accettiamo di vivere con e nella Chiesa, questa vocazione – semplice e forte – ad amare, porteremo per bene il nome di Gesù Cristo, tutto quello che chiederemo nel suo nome ci verrà dato; ma se comprenderemo bene a quale amore siamo stati chiamati, porteremo per bene il nome di Gesù Cristo e – domandando tutto ciò che vorremmo – ciò ci verrà accordato e saremo 'efficaci' dell’efficacia stessa di Dio, ma per ciò che è l’opera di Dio.

(traduzione di Marco Roncalli)

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