domenica 12 agosto 2018
Mezzo secolo fa il noto tormentone dell’anno e anche del suo autore Riccardo Del Turco: «Mi ha etichettato a vita. La snobbai ma ha conquistato mezzo mondo»
la copertina del 45 giri “Luglio” con cui vinse il Disco per l’Estate nel 1968 e la mostra di musica leggera di Venezia l’anno dopo

la copertina del 45 giri “Luglio” con cui vinse il Disco per l’Estate nel 1968 e la mostra di musica leggera di Venezia l’anno dopo

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Iniziava l’anno 1968, soffiava il vento della contestazione fra Maggio francese e Valle Giulia. Poi fu estate; e da noi fra radio e jukebox si levò la brezza di luglio, «Luglio, col bene che ti voglio, vedrai non finirà…». Stranezze della storia: per quindici settimane al numero uno delle classifiche del Sessantotto dominò il garbo antico di Riccardo Del Turco, fiesolano classe ’39, chansonnier d’autore dalla delicatezza pudica e mai retorica, con gusto per melodie mosse, eleganti, scandite spesso in ritmi sudamericani. Del Turco con Luglio ha vinto nel ’68 il Disco per l’estate e nel ’69, poiché Luglio fu il brano più venduto del ’68, la mostra di musica leggera di Venezia: la canzone, testo di Giancarlo Bigazzi allora esordiente, vendette un milione e centomila copie spopolando tradotta anche nelle hit di Francia e Canada e sul mercato anglofono. Senza contare che da allora Luglio rappresenta l’estate italiana in musica. E purtroppo rappresenta anche Del Turco, le cui cifra di scrittura e signorilità di canto avrebbero meritato altro: per non parlare di un repertorio non certo da meteora, fra la cover Figlio unico e Uno tranquillo, il debutto con testo di Endrigo Le cose che non ci diciamo e le perle nascoste Allora hai vinto tu, Quanto amore, Nel giardino dietro casa, Uno nessuno. Più Cosa hai messo nel caffèresa hit mondiale da Engelbert Humperdinck, la splendida e coraggiosa Non voglio ali (cantata a Sanremo ’82 introducendosi per mezzo minuto all’armonica a bocca) che Nana Mouskouri virò in francese e tedesco e la bellissima Serena alienazionedel suo commiato nel 1984. Raggiunto oggi in Maremma, dove fa l’olio, Riccardo Del Turco è comunque sorridente quando dice: «Suono ancora il pianoforte, e scrivo cose che tengo però per me e mia moglie».

Lei fu scoperto da Nanni Ricordi, come i cantautori…

«Cantavo a Cortina con l’orchestra di Riccardo Rauchi quando le orchestre erano più importanti dei solisti: mi sentì al night della posta e mi disse di passare da lui a Roma, alla Rca. È vero, scoprì anche me».

Perché non ha mai puntato sulla carriera? Rimpianti?

«Fu naturale… Cantare è meraviglioso, mestiere da privilegiati: però io mi facevo autocritiche spietate, se pensa che dopo Luglio anziché cercare di ricalcarla presentai a Venezia Babilonia, opposta come stile e contenuti… Del mondo musicale non amavo molte cose: la rivalità, il mirare sempre ai soldi… E via via è diventato sempre più spietato».

Come nacque Luglio?

«Bigazzi me lo presentò mio cugino, insistendo molto, ma quando lo conobbi capii subito il suo talento: tanto che il lato B che scrisse per Luglio, Il temporale, per molti era pure brano più forte. Io incisi Luglio: buona la prima. Capitava spesso, perché cercavo la spontaneità e non la perfezione».

Luglio è elegante e solare, per molti però è pure sinonimo di canzonetta banale. Lei come la giudicava?

«Beh, la snobbai anch’io: volevo darla a Orietta Berti! Fu Ladislao Sugar a dirmi di cantarla. Poi me la son trovata tradotta per la Francia da Pierre Delanoë, un accademico che lavorava con Becaud».

L’ha etichettata in negativo, un evergreen così?

«Segna, eccome. La gente ti misura su quel cliché e sei finito. Però è gratificante ritrovare le proprie canzoni nel mondo. È bello anche da italiano, rappresentare un Made in Italy di livello: specie oggi che siamo esterofili, replicanti… Certo nel ’68 mi trovai dalla parte sbagliata e lo pagai: l’anno dopo andavo a Sanremo con Cosa hai messo nel caffè e tutti scrivevano di canzone cretina perché bisognava avere “l’impegno”. Non so: per me una canzone deve anche saper dare gioia, o serenità».

Si è sentito danneggiato dal cantautorato impegnato?

«Quello no: perché chi fa poesia come Endrigo, che fu mio cognato, De Gregori, Jannacci, la fa anche strizzando l’oc- chio al sociale. Altri invece sì: fingevano messaggi ribelli, ma era opportunismo».

Che valore ha la musica “leggera” degli anni ’60?

«La canzone è musica, parole, donare qualcosa a chi ne fruisce. E certi brani sono indiscutibili su questo: pensi a Il mondo di Jimmy Fontana. Oggi è tutto al contrario: il rap dice concetti anche giusti ma ne dice troppi e diventa ossessione; occorre soffermarsi, discernere, selezionare. La grandezza di un autore è scovare qualcosa di piccolo che colpisca e buchi il cuore, perché la musica è un alito».

Lei ha scritto con Endrigo Nelle mie notti, da cui Bacalov nel ’95 fece partire il tema de Il postino…

«E bastava riconoscere di aver preso lo spunto. Avrei voluto parlare con Bacalov prima che partisse: gli avrei detto che forse senza il nostro spunto non nasceva quella melodia, ma certo senza di lui non si sviluppava fino a un Oscar… Sergio visse tutto con più rabbia, si aspettava che il mondo musicale riconoscesse le nostre ragioni e invece tutti si sono messi contro, o svicolavano… Alla fine abbiamo vinto la causa: ma si poteva risolvere tutto sul nascere».

Da cosa dipese l’insuccesso del Del Turco elegante cantautore degli anni ’80, belle musiche, bei testi?

«Forse non ero convincente. Vasco cantava Vado al massimo e io ero agli antipodi, il mio messaggio era che vivere è anche restare, cercare di capire… Ma Non voglio ali, canzone piccola, era originale: però il pubblico ha sempre ragione. E forse ha ragione anche lei: volevano ancora Luglio ».

È valsa la pena produrre giovani negli anni ’90?

«Potevo farne a meno. Non ho il pelo sullo stomaco, non so impormi. È un campo ben diverso dall’arte».

E fare l’autore di canzoni, ne è valsa la pena?

«Beh, è un piacere riascoltare Mi fai sentire così strana che con Lauzi scrivemmo a Mina, o ricordare quando Patty Pravo incise Tanto e Vangelis prima si arrabbiò perché lei faceva fatica a cantarla e poi la scelse ad aprire l’Lp al posto di un Battisti/ Mogol. Ma la musica è sempre parte di me, è la cosa più bella e mi ha appagato tanto. Mi appaga anche ora, in verità: è venuto da me Andrea Bocelli, si ricordava una canzone che gli avevo fatto sentire vent’anni fa e l’ha voluta per il suo cd di inediti che esce nel mondo a ottobre. S’intitola Vivo, è una preghiera».

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