giovedì 27 aprile 2023
Il giornalista sportivo porta in scena al Teatro Oscar di Milano “Posso battere Kennedy a golf”: «Sono quattro storie in cui, come mi ha insegnato Sergio Zavoli, parlo di sport parlando d'altro»
Il giornalista Massimo De Luca

Il giornalista Massimo De Luca

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«È bello parlare di sport parlando d’altro. E quando si parla d’altro è bello parlare di sport. Questa è stata la lezione che mi ha lasciato Sergio Zavoli, il mio maestro di giornalismo e di vita». Lezione mandata a memoria da Massimo De Luca che non a caso nella trasmissione Rai Dribbling teneva la rubrica Salto in altro. Giornalista sportivo e direttore di lungo corso, De Luca è un autorevole storico dello sport con il suo teatro di narrazione che ha inaugurato nel 2017 con Quasi gol in cui ha raccontato e scagionato dall’accusa di razzismo il grande padre della radiotelecronaca, Nicolò Carosio. E ora «sempre su invito di Giacomo Poretti» (del trio Aldo, Giovanni e Giacomo) direttore artistico del Teatro Oscar di Milano, porta in scena (dopo la prima di ieri, oggi e domani sera, ore 20.45) Posso battere Kennedy a golf. «Quattro storie “matrioska” con quattro tipi di microfoni a scandire il passaggio delle varie epoche», sottolinea l’autore e protagonista di questo testo teatrale in cui le vicende sportive si fondono con la storia politica e sociale del ‘900. La grande Storia in cui affiorano i legami più o meno segreti avuti da capi di Stato, come appunto John Fitzgerald Kennedy e i vari dittatori, con l’universo olimpico. In scena un Massimo De Luca che veste i panni del golfista- narratore «con tanto di sacca vintage a tracolla» e il suo spettacolo si apre con l’immagine iconica di Adriano Panatta proiettata “a 160°” sullo sfondo.
Prima battuta: la storica e unica vittoria della Coppa Davis del tennis azzurro, nel 1976. E il primo “salto in altro”: il dittatore in campo, metaforicamente sulla terra rossa di Santiago del Cile, il generale Alfonso Pinochet.
Questa storia comincia a Roma, prima della finale di Davis del dicembre ‘76, e la faccio raccontare da due spettatori, due tifosi sfegatati di Adriano, delusi dagli alti e i bassi del giovane gladiatore romano. Agli Internazionali del ’76 Panatta al primo turno annulla 11 matchpoint al modesto australiano Warwick, ma poi vince il torneo e fa il bis clamoroso a Parigi dove in finale supera il n.1 del mondo, Bjorn Borg, il quale al Roland Garros ha perso solo due volte nella sua breve e straordinaria carriera, e tutte a due le volte contro Adriano. A Parigi Panatta sente che quello sarebbe stato l’anno della prima e unica Davis azzurra…
Ma dal Cile, il golfista De Luca, un anno prima prima della finale di Santiago ci porta nella Spagna del dittatore Francisco Franco, e su un campo di pallone.
Il precedente a quella sfida estremamente politica, che ha ben raccontato Domenico Procacci nella docuserie di Sky Una squadra, fu la partita di Coppa Uefa, del settembre ’75, tra la Lazio e il Barcellona di Crujff . Quella gara si doveva disputare nei giorni in cui Franco morente (si sarebbe spento due mesi dopo) aveva condannato a morte cinque giovani dissidenti ai quali aveva concesso come pena capitale la fucilazione al posto della garrota. Papa Paolo VI all’Angelus aveva implorato di sospendere l’esecuzione, mentre la Federcalcio, minacciata dalla Cgil, che avrebbe indetto lo sciopero delle maestranze dell’Olimpico, ordinò l’annullamento di Lazio-Barcellona. E così fu, con la Uefa che decretò lo 0-3 a tavolino in favore dei blaugrana. Al ritorno la Lazio dovette presentarsi al Camp Nou per non incorrere in altre sanzioni e io ero inviato a Barcellona... Ricordo i colleghi catalani che ci accolsero turbati per la loro dignità: «Non penserete che noi siamo dei franchisti?», dissero in coro. Io concludo il racconto riflettendo sul fatto che se per la finale della Davis fosse stata designata come sede Roma al posto di Santiago, Italia-Cile non si sarebbe mai disputata e il nostro tennis non avrebbe mai vinto quel titolo prestigioso.
Fin qui abbiamo parlato di tennis e di calcio, ma il titolo dello spettacolo verte sul golf.
Che assieme al baseball è una mia vecchia passione da praticante e da direttore di riviste specializzate. Da noi il golf raccoglie appena 100mila tesserati, negli Usa lo praticano 26 milioni di americani ed è da sempre la grande passione di tutti i presidenti degli Stati Uniti che si sono avvicendati. Il titolo del mio spettacolo prende spunto da una “fanfaronata” di Fidel Castro che come tutti i cubani sapeva di baseball ma quasi niente di golf. Nel 1961 nel suo primo e unico giro di golf al Colinas de Villareal Golf Club, a L’Avana, il Lider Maximo, rientrando in clubhouse con Che Guevara, che in gioventù era stato un rugbista,e caddie a Buenos Aires per racimolare qualche soldo, disse di essere già pronto per sfidare l’allora emergente presidente americano che poteva vantarsi di essere anche un ottimo giocatore.
Il golf infatti aleggia, e viene raccontato, perfino sulla morte di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre del 1963.
John F. Kennedy amava il golf al punto da chiedere ai suoi collaboratori di girare un filmato in Super8 da inviare al grande campione Arnold Palmer per avere da lui dei consigli utili: voleva migliorare la sua tecnica che era già buona. Palmer, repubblicano e grande amico di Eisenhower - un maniaco di golf - è l’uomo che con le sue vittorie a ripetizione rivoluzionò il palinsesto della tv americana degli anni ’60, la quale cominciò a trasmettere le dirette dei tornei di golf. Nell’agenda presidenziale, l’incontro alla Casa Bianca con Palmer per discutere di quel filmino era fissato per il giorno dopo il rientro dal viaggio di Kennedy a Dallas. Ma quello fu un viaggio senza ritorno e un appuntamento mancato con il suo unico vero idolo sportivo.
In scena porta anche il nobile tennista barone Von Cramm, a sua volta orgoglio della Germania hitleriana.
Già, ma fino a quando Von Cramm rifiutò di iscriversi al partito nazista. Poi, dopo una strana telefonata del Führer, nel 1937 perse la finale di Wimbledon contro Donald “Don” Budge e lì cominciò il suo declino politico che coincise con quello sportivo: venne imprigionato con l’accusa di omosessualità. Von Cramm è uno dei grandi campioni “eliminati” dal nazismo come il suo connazionale, il pugile sinti Trollman, la “piuma del ghetto” di Roma, Lelletto Efrati e il Mozart del calcio , “Cartavelina” Sindelar, il bomber della nazionale austriaca che si rifiutò di fare il saluto nazista e nella sua casa viennese venne trovato morto con la fidanzata, l’ebrea milanese Camilla Castagnoli.
Prima del finale, una storia olimpica: i Giochi di Melbourne 1956, l’anno della rivoluzione ungherese.
Racconto la mitica sfida di pallanuoto tra l’Ungheria e gli “invasori” dell’Urss. Una battaglia, con la piscina di Melbourne che sul 4-0 per l’Ungheria si colorò di rosso: il sangue di Zador colpito all’occhio da un pugno sferrato dal sovietico Prokopov. L’ungherese Zador dopo le Olimpiadi non sarebbe più rientrato in patria, finì esule negli Stati Uniti, dove trovò lavoro come istruttore di nuoto alla piscina di Sacramento. E lì un giorno un papà si presentò da Zador e gli disse: «Vorrei che allenasse mio figlio». Era il padre di Mark Spitz, la futura leggenda del nuoto americano, 7 ori alle Olimpiadi di Monaco ’72. Sulle lacrime, condivise da tutto il mondo, del celebre giornalista della Cbs, Walter Cronkite, il golfista-narratore De Luca esce di scena, sempre più convinto che è bello parlare di sport, parlando d’altro.

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