giovedì 9 febbraio 2023
Il grande medievista ha ricostruito l’oceano letterario e filosofico che confluisce nella “Commedia” ma anche in Ildegarda sulla natura femminile della conoscenza
Domenico Peterlini, “Dante Alighieri” (particolare)

Domenico Peterlini, “Dante Alighieri” (particolare) - Ansa/Palazzo Pitti

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Mi sono appassionata a Peter Dronke recensendo la sua antologia sulle Donne del Medioevo , edita dal Saggiatore nel 1986. Per la prima volta venivano alla luce figure di donne ammirevoli, destinate all’oblio totale, se Dronke non le avesse estratte dal nero pozzo. E per la prima volta, la meravigliosa configurazione della teologia appariva sotto l’aspetto femmineo e grandioso di Ildegarda, intrecciandosi a quello di Margherita Porete, e in infinite connessioni. Perché comincio di qui a parlare di Dante e le tradizioni latine medievali (il Mulino, pagine 357, euro 38,00)? Perché proprio la parte nuova di questo libro capitale su Dante, che esce raddoppiato di pagine dopo l’edizione italiana del 1990 (su quella inglese del 1986), inizia da una straordinaria comparazione tra Francesca ed Eloisa, passando attraverso « L’amor che move il sole e l’altre stelle» – la più impressionante e completa disamina sul concetto d’amore dall’Afrodite omerica a Dante – e si chiude con la conclusione della Commedia, dove la volontà «supremamente innamorata » porta al culmine «ardore del desiderio» e penetrazione intellettuale: una direzione dello sguardo d’amore in due sensi, che è disceso dagli occhi di Maria a quelli di Lucia fino a Beatrice. Nel capitolo su Francesca ed Eloisa, Dronke legge i testi e i loro esegeti, solitamente divisi in “falchi” se aggressivi, e “colombe” se ciechi, restituendo la più tragica dignità alla difesa che le due eroine fanno della loro scelta consapevole e commovente, che «possiede una magnificenza indiscussa». « L’amore esprime la vera essenza del pensiero di Dante: la spinta dell’amante e dell’amato a unirsi e diventare intercambiabili nell’adempimento dell’amore». Maria, l’amata, non è una semplice intermediaria. Lei è la torcia di carità che sparge luce, la fonte di grazia dell’amore «che move il sole e l’altre stelle». L’adesione è perfetta. « Nell’amore cosmico soggetto e oggetto si uniscono: Dio è l’amato immobile verso cui tendono tutte le cose e l’amante da cui emana l’amore che determina la concordia universale». I cinque saggi di questa parte nuova, tradotti da Emilia Di Rocco, sono necessari per comprendere Dante e la grandezza di Dronke, che possiede la vista completa. Rende verità, senso, giustizia, all’insondabile femminile – o feminea forma, quam gloriosa es, scriveva Ildegarda. Solo chi la conosce è in grado di affrontare con competenza la summa di Dante che la sceglie a guida, nella massima concentrazione di fonti conoscibili, individuando e comprendendo le interpretazioni che Dante opera. Dronke possedeva una sensibilità-conoscenza comprensiva totale della letteratu-ra del medioevo, affondata nella letteratura latina, che a sua volta sprofondava nelle origini greche e oltre-greche, e poteva restituirne l’esegesi, guizzando come un pesce maschio-femmina in quello sterminato oceano di testi e nei loro fondali più ignoti. Ho usato l’immagine dell’agilità suprema del pesce, il suo movimento assoluto nella liquidità della conoscenza, e quella della duplicità del sapere proprio dei due sessi, in ogni aspetto e riflesso, perché esiste una linea femminile erotica, teologica, immaginativa, che dall’antichità al Medioevo diventa la Musa di Dante: « Amor che ditta dentro», ed è la chiave del Paradiso. « Amor che al cor ratto s’apprende », e amore che «regge il cielo». Ma per essa occorrono sensi sottili. Da quello studioso imbattibile del platonismo medievale che è, Dronke offre un altro strumento capitale per intendere Dante: il significato di metafora e integumentum attraverso Scoto Eriugena e Guglielmo di Conches. Trasferimento di sensi e copertura, propri della mente simbolica, concentrata e immaginosa, e non dell’allegoria. Seguiamo Dronke quando da Boezio ai mistici del 1100 Riccardo di San Vittore e Alano di Lilla opera tutte le necessarie distinzioni testuali rivedendo Auerbach e Curtius. Ma soprattutto ammiriamo come rende nitida la Visione dell’invisibile, discesa dal Timeo di Platone, che consente la costruzione teologica e mitopoietica della Commedia e le configurazioni cosmiche di Ildegarda: un frutto greco-ebraico. Attraverso la traduzione (parziale) di Calcidio, con Macrobio e Boezio, il Timeo prospetta il cosmo del Medioevo. Nel IV canto del Paradiso Beatrice risponde sugli influssi delle stelle e il libero arbitrio sostenendone il linguaggio che dissimula la più profonda filosofia (integumentis verborum tectam), seguendo Guglielmo di Conches, che Dronke ritiene il migliore esempio di approccio platonico per Dante. Tanto che gli ispira la spiegazione di san Tommaso sul sistema solare nel XIII canto: «Ciò che non more e ciò che può morire / non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire». Piero Boitani introduce il volume con un saggio di grande respiro. Rievoca la più che quarantennale amicizia fraterna con Dronke, e mentre entra nel vivo dei saggi su Dante percor re tutta la sua opera, la storia delle ricerche e il mondo degli autori. Ecco subito il genio di Dronke. In Giovanni Scoto la teologia usa le immagini « veluti quaedam poetria ». Ma per lui Poetria non significa qui poesia, bensì poetessa, come nel latino classico. Personificazione che è un programma, da parte di chi interpreta nel modo più inusitato, ma è anche sempre il più fedele. Il magnifico ritratto del «maggior medievalista letterario d’Europa », «da mettere sullo stesso piano di Curtius e di Auerbach, di C.S.Lewis e Spitzer», è un quadro di civiltà e di intrecci biografici. Dronke era nato a Colonia nel 1934. Il padre giudice dissidente e la madre di origine ebraica, attiva nel teatro, avevano ottenuto in extremis un visto per la Nuova Zelanda. Lì lui aveva studiato, passando poi a Oxford e a Cambridge, e sposando Ursula Brown, studiosa di lingue nordiche, editrice dell’Edda, traduttrice della Völuspä , degli Scaldi e del Beowulf. Di ricchissima umanità, credo che il tramite materno tra Shakespeare ed Eliot, e quello della moglie con le saghe, abbia nutrito in Dronke la completezza della poetria, in feminea forma. Nell’elogio commosso di Boitani Peter Dronke, il tedesco neozelandese che «padroneggia tutte le epoche da Omero a Goethe» in «una visione globale della letteratura europea» passando più volte dall’una all’altra provincia, è il vero cittadino romano nell’accezione di Curtius – « Può dirsi europeo solo chi è divenuto civis romanus » – ciò che significa aperto a tutto il mondo.

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