venerdì 3 marzo 2023
Ottant'anni fa nasceva a Bologna il grande cantautore, la cui data è la più celebre del mondo dello spettacolo. Dall'exploit di "4/3/1943" al successo, sempre con l'imperativo di comunicare
Partito dal jazz e innamorato della gente, ha usato la musica in tutte le forme per poter comunicare a tutti: il cantautore bolognese Lucio Dalla (1943-2012)

Partito dal jazz e innamorato della gente, ha usato la musica in tutte le forme per poter comunicare a tutti: il cantautore bolognese Lucio Dalla (1943-2012)

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Enfant prodige, Lucio Dalla. Fin dall’eufonico abbinamento di nome e cognome. Una predestinazione sonora e musicale. Confermata subito in tenera età quando cantava e ballava acclamato nel teatro dell’oratorio e per strada, sfuggendo dalla mano di suo padre Giuseppe (“grande cacciatore di quaglie e di fagiani” ex direttore del tiro a volo di Bologna, morto quando Lucio aveva 7 anni), si fiondava in bar e negozi a esibirsi. Un prodigio della natura. Ne fu perfino fatto un racconto a disegni uscito su un periodico subito dopo il suo exploit al Festival del 1971 con Gesubambino diventata 4/3/1943 per via della censura sanremese e dei dirigenti Rai. In quella surreale e ironica vicenda a puntate, dove il “Luciodalla” era una fantomatica creatura preistorica di cui si cercavano le origini in un misterioso “uovo mesozoico”, le caricature erano dell’illustratrice Paola Pallottino che si era inventata paroliera per spedire sul podio del Festival quell’omino piccolo così che, intonando “Dice che era un bell’uomo”, raccontava di una ragazza madre e di un figlio della guerra che per la gente del porto (in coercitiva sostituzione di ladri e puttane) era o si chiamava Gesubambino.

Un terzo posto che venne considerato dalla critica la vera “vittoria morale” di quel Sanremo che lo riscattò da anni di umiliazioni, fischi e iniziali bordate di vegetali ad ogni apparizione. Già, perché il fenomeno Dalla, come tutto ciò che non è “nella norma”, non poteva certo essere capito da un pubblico abituato a cliché canori ed estetici opposti a ciò che era Lucio. Lui veniva dal jazz (estroso clarinettista autodidatta), cantava come “un negro” e il suo scat e i suoi funambolici versi vocali non potevano che suonare insopportabili ai più. Tutto questo mentre un altro Lucio trionfava nel ’69 al Festivalbar e rivoluzionava la musica leggera italiana con Acqua azzurra, acqua chiara. Dalla piaceva però alla critica e i discografici avevano capito che il barbuto piccolo folletto bolognese era un fuoriclasse. Il problema era che non vendeva dischi, anche se per le sue performance dal vivo i giornali parlavano entusiasti di show “tuttodalla” tra imprese vocali e circensi numeri al clarinetto, accompagnato dai suoi Idoli. Sette anni così, fin dal debutto nel 1966 col primo disco fortemente voluto dal suo mentore Gino Paoli.

Poi di colpo quell’exploit al Festival del ’71, con la Rca che non riesce a star dietro alle richieste del pubblico. Turni di notte per stampare il mezzo milione di 45 giri di 4/3/1943, con Lucio in hit parade per settimane. Ormai in rampa di lancio, Dalla sembra pronto a cavalcare l’onda del successo. L’anno dopo torna così a Sanremo con un pezzo altrettanto forte, Piazza Grande, scritto con Ron oltre che con gli storici parolieri Bardotti e Baldazzi. Ma l’ottavo posto è un segno del destino. Lucio sta male, è in rotta di collisione con se stesso e con un certo mondo della canzone, come se nelle sue orecchie tornasse a risuonare uno dei suoi primi vecchi brani, Lucio, dove vai?. L’anno prima, all’indomani del successo di Gesubambino, aveva anche litigato e “divorziato” con Paola Pallottino, i cui testi gli avevano regalato una particolare originalità ( Il gigante e la bambina, Un uomo come me, Orfeo bianco, Africa). Gli viene anche l’ulcera, finisce in ospedale, lo operano e gli salvano la vita. Finisce un’era prima ancora che fosse realmente cominciata.

L’amico e produttore Renzo Cremonini lo porta dall’intellettuale, poeta, scrittore e libraio bolognese Roberto Roversi, comunista militante illuminato. Mezzo secolo fa esatto, nel marzo 1973, esce il primo album della loro trilogia, pionieristico capolavoro di canzone politica e di impegno civile. Inarrivabile sintesi e perfetta fusione tra musica e letteratura, tra sonorità prog, jazz e pop e poesia al servizio della musica e, ancor più, viceversa. Lucio fa inerpicare la sua geniale creatività compositiva tra le sommità liriche verbali di Roversi, che sfodera ritratti umani della potenza di Nuvolari e quadri politico-sociali come quella sorta di teatro canzone che è stato lo spettacolo Il futuro dell’automobile. Ne esce il disco Automobili (marzo ’76), privato però dalla Rca di due brani. Roversi ritira la firma (nei crediti del disco risulterà il nome Norisso), Dalla comprende ma tira diritto. Sa che è arrivato il suo momento.

Le “lezioni” di Pallottino e Roversi hanno completato la sua forgiatura anche letteraria. Lucio si butta nel suo “profondo mare”. Già la title track del suo debutto da cantautore totale nel 1977, Come è profondo il mare, è il manifesto artistico di una nuova inedita visionarietà. Irrompe l’aggettivo “dalliano” che si imporrà definitivamente con i due album successivi (Lucio Dalla e Dalla) consacrando uno stile, un sound e una scrittura a cui attingeranno le generazioni a venire. Lucio metterà d’accordo tutti, pubblico e critica. Musica popolare alta, più che colta. Matrice pop-jazz e melodica, rock mediterraneo che abbraccerà anche il fado e l’opera lirica in versione musical (Tosca amore disperato), la canzone napoletana (Caruso) e il funky. Lucio non è mai stato etichettabile, se non nella sua assoluta ricerca della comunicazione a 360° con il pubblico, anzi con la gente.

Un puro genio comunque sempre sfuggito alle mode, agli stilemi. Fin da subito, a inizio carriera. Quando negli anni 60 imperava la moda del beat, Dalla era già oltre con soluzioni armoniche, melodiche e ritmiche fuori dagli schemi e in anticipo sui tempi. Persino da clarinettista suonava in modo non convenzionale, utilizzando ritmicamente l’ancia in modo quasi percussivo. Anche la sua voce era limpida e sporca nel contempo, la più grande voce soul italiana. Potente e musicale, quanto intimissima e sussurrata. Eredi di Dalla? Debitori, semmai. Intanto il concittadino apparente epigono Cesare Cremonini, dopo il recente virtuale duetto in Stella di mare, si prepara ad avvicinarlo. Ma soltanto in un suo prossimo film.

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