giovedì 1 marzo 2012
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​La prima volta davanti a uno stadio fu nel luglio del 1978. Quarantamila persone strette come sardine dentro il Flaminio di Roma, per ascoltarlo in concerto con Francesco De Gregori. Un mezzo delirio. A un certo punto attaccò alla tastiera le prime note di La casa in riva al mare, non certo uno dei suoi ultimissimi successi del tempo, e le gradinate sembrarono sul punto di venire giù per gli applausi. Si fermò, guardando quel mare di gente con la sua aria da furetto divertito, fino a quando non ritornò il silenzio. E allora disse, più o meno: «Io non capisco... quando uscì, il 45 giri avrà venduto sì e no cento copie, e adesso ogni volta che attacco questo pezzo...».Era stata davvero una lunghissima gavetta, quella di Lucio Dalla. Una carriera partita in sordina nel 1964, e costruita da elfo geniale passo dopo passo su un talento smisurato e inquieto, che lo avrebbe portato ad attraversare i generi più diversi, dal jazz al pop al lirico, a mischiarli, contaminarli, frullarli in un qualcosa quasi sempre impossibile da definire. Quella sera di luglio il Flaminio e Roma gli restituivano quanto il pubblico gli doveva dopo anni di esibizioni per pochi intimi: concerti con venti persone presenti, anche meno, venti fissati che, finita la musica, si ritrovavano nel retropalco per salutare Lucio, che ringraziava regalando virtuosismi al sax o al clarinetto che duravano un altro mezzo concerto. E poi: «Beh, magari potremo farci una pizza...».Il successo di 4/3/43, nel 1971 a Sanremo, dov’era tornato tre anni dopo la tragica edizione del ’68 (era stato Dalla il primo a entrare nella stanza dove s’era ucciso Luigi Tenco), diede la prima accelerazione al suo percorso, ma non fu certo decisiva. E Dalla ci mise del suo, chiudendo bruscamente due anni più tardi il periodo del cantastorie e i rapporti con i suoi collaboratori storici Baldazzi, Bardotti e Anna Pallottino. Per il grande pubblico quasi sparisce, mentre inizia il sodalizio con Roberto Roversi, altro genio bolognese, poeta e scrittore, il quale gli scrive i testi di tre album destinati a cambiare il corso della canzone d’autore italiana. Di fatto, Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa e Automobili (quest’ultimo "disconosciuto" da Roversi, cosa che sarà alla base della rottura artistica tra i due) non riempiranno mai gli stadi e nemmeno i teatri tenda, ma restano pagine memorabili in bilico tra storia, cronaca e visione, dense fino all’inverosimile di sperimentazioni poetiche, musicali, espressive che, da sole, meriterebbero anni di studi.Anche questa fase dura poco, solo una manciata d’anni, fino al ’76. Dalla l’irrequieto, lo straordinario musicista autodidatta (Pupi Avati, clarinettista titolare della "Rheno Dixieland Band", quando Lucio nel ’60 entrò in formazione pensò bene di cambiare mestiere e darsi al cinema) il cantante senza alcun physique du rôle s’inventa finalmente anche paroliere. E da Com’è profondo il mare in avanti sarà un successo che non si fermerà più, e che con Caruso diventerà, letteralmente, planetario.Per qualcuno la terza svolta di Dalla è puramente commerciale, e in qualche modo, in questa osservazione, c’è del vero. Altrettanto vero è però che, anche in questo l’autore bolognese si mostra diverso da tutti gli altri. Struggenti o ironici, malinconici o visionari, i suoi testi, come le note che fissa sul pentagramma, riescono a non scivolare mai nella banalità. Come una spugna, ha assorbito da Roversi e dalla Pallottino, ma quello che restituisce è un qualcosa di assolutamente personale, e originale. Non metterà più in musica il listino di borsa, né arriverà mai a eguagliare la bellezza espressiva di Tu parlavi una lingua meravigliosa  (e se è per questo non ci arriverà mai nessuno), contenuta in Anidride solforosa, ma ci andrà varie volte vicino. Con Futura, poi, davvero vicinissimo.D’altra parte, una carriera non dura cinquant’anni per caso. Non per caso praticamente tutto il meglio della musica italiana, interpreti, compositori, parolieri, cantautori, prima o poi ha incrociato la strada di Dalla, e anche farne solo l’elenco sarebbe impossibile. E non per caso quasi tutti, dai grandissimi ai più giovani, l’hanno prima o poi cercato. Incontrandolo a qualche angolo delle strade sconosciute che, sempre alla ricerca com’era di cose nuove, amava percorrere. Magari su una vecchia bicicletta da corsa, con gli occhiali da sole il cuore nella borsa.
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