giovedì 23 maggio 2024
Non solo calcio e basket, l’educazione è al centro delle 22 scuole socio-sportive nate in tutto il mondo grazie al club e ai religiosi
Una scuola socio-sportiva del Real Madrid e dei salesiani in Africa

Una scuola socio-sportiva del Real Madrid e dei salesiani in Africa - Misiones Salesianes

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Calcio e fede, sì. Ma che cosa c’entra don Bosco con il Real Madrid? Tanto, tantissimo per via di uno dei progetti extracampo a cui la società madrilena tiene di più: le scuole socio-sportive nate nel 2010 grazie alla collaborazione tra la Fondazione del club spagnolo e le Missioni Salesiane. Dalla Polonia al Mozambico, dalla Repubblica Dominicana all’Egitto: sono ormai 22 in 15 Paesi di tre continenti diversi. (Africa, America, Europa). Un’iniziativa che ha cambiato il futuro a più di 20mila ragazzi e ragazze. Perché le scuole sono più che calcio e basket. Sono molto più che sport. Bambini e ragazzi ricevono sostegno nutrizionale, corsi di rinforzo scolastico, borse di studio, assistenza sanitaria e psicologica e possono anche partecipare a corsi di teatro, musica, danza e cucina.Ci sono tutte le caratteristiche degli ambienti salesiani come l’allegria, il rispetto e la solidarietà, ma soprattutto quell’attenzione alla persona e al suo destino che viene prima di tutto. Non a caso il motto scelto è: «Loro giocano, noi educhiamo».

I destinatari privilegiati sono i minori che hanno risorse economiche molto limitate, sfollati, rifugiati, perseguitati, ragazzi che vivono in contesti violenti o che hanno delle disabilità. Il direttore delle relazioni istituzionali della polisportiva madrilena, l’ex stella del Real Emilio Butragueño ha ribadito che il «sistema preventivo di don Bosco si adatta perfettamente agli obiettivi del club».
Butragueño, che si è sempre dichiarato cattolico, ha elogiato il lavoro con i religiosi perché cerca di «tenere decine di minori lontani da abitudini dannose», sottolineando «la speranza che lo sport possa aiutare i giovani nel loro tempo libero a trasformarlo in abitudini sane». Parola del “Buitre” per una polisportiva che vuole continuare a vincere in campo e fuori.

Il presidente diventato frate e salvato dai nazisti

Dici Real Madrid e pensi subito ai “galacticos” del calcio che ogni anno o quasi riscrivono la storia del pallone. Eppure c’è un altro “Real” che non è da meno, è quello del baloncesto (pallacanestro). Se i blancos di Carletto Ancelotti possono mettere le mani sulla quindicesima Champions League (in finale il 1 giugno contro il Borussia Dortmund) anche l’omonima squadra di basket è pronta ad allungare il primato nell’albo d’oro della massima competizione europea. Già detentori in carica del trofeo, le merengues della palla a spicchi questo fine settimana nella Final Four di Eurolega in programma a Berlino andranno a caccia del 12° titolo da mettere in bacheca (contro gli 8 del Cska Mosca secondo). Il pronostico pende a favore del Real: la squadra di Chus Mateo ha compiuto una cavalcata trionfale in regular season (27 successi e solo 7 sconfitte), sbarazzandosi ai quarti del Baskonia in un derby a senso unico. Un gruppo di fuoriclasse trascinato dall’argentino Facundo Campazzo, con l’esperienza di un veterano come il 37enne Chacho Rodriguez, vecchia conoscenza anche di Milano.

Il club ricco e vincente di Madrid (l’altro in massima serie è il ben più modesto Estudiantes) è in corsa anche per vincere l’ennesimo “scudetto” della Liga, in cui dominano l’albo d’oro con 36 titoli più di tutti quelli vinti dagli altri club messi assieme. Una parata di stelle ha vestito questa canotta. Tra i tanti, due fenomeni dei tempi moderni sono stati il compianto “Mozart dei canestri” Drazen Petrovic o di recente Luka Doncic, che prima di affermarsi in Nba è stato il più giovane giocatore del Madrid a scendere in campo nella Liga quando aveva solo sedici anni. Se ti chiami Real insomma sei una corazzata sia se parliamo di calcio che di basket. Due punte di diamante di una polisportiva che ha fatto la storia anche in altre discipline. Dal nuoto all’atletica leggera, i “bianchi” di Madrid hanno dettato legge anche con altre sezioni oggi scomparse: pallavolo (9 campionati e 12 Coppe del Re), baseball (8 titoli nazionali), rugby e pallamano (1 campionato), tennis con un tesserato come Manuel Santana vincitore a Wimbledon nel 1966.

Facundo Campazzo, fuoriclasse del Real Madrid, in azione contro Shabbaz Napier (Olimpia Milano)

Facundo Campazzo, fuoriclasse del Real Madrid, in azione contro Shabbaz Napier (Olimpia Milano) - ANSA

Tutto partì dal calcio, nel 1902, con il Madrid Club de Fútbol, a cui il re Alfonso XIII di Spagna assegnò il titolo di Real e la celebre corona che campeggia nello stemma. Qualche anno fa fece scalpore la decisione di togliere la croce dal simbolo per via di alcuni accordi commerciali con alcuni Paesi del Medio Oriente. Ci fu una levata di scudi e anche una raccolta firme: oggi la croce è ritornata al suo posto. A dare impulso alla sezione cestistica (nata nel 1932) fu un dirigente sui generis diventato poi frate domenicano. Proprio così, parliamo di Rafael Sánchez-Guerra Sainz, presidente del club per quattro anni dal 1935 al 1939: siamo negli anni della guerra civile spagnola e lui, repubblicano, si rifiutò di fuggire da Madrid quando prese il comando Franco. Catturato, venne imprigionato e torturato prima di riuscire a fuggire a Parigi dove diventò un dei membri di spicco del governo repubblicano in esilio. Rimasto vedovo nel 1959 al suo rientro in Spagna abbracciò l’ordine domenicano secondo una promessa fatta alla moglie. Il quotidiano As qualche anno fa scrisse che Sánchez-Guerra esitò tra l’ordine di Santa María de Huerta e il Seminario ispanoamericano dei Missionari Domenicani di Villava (Navarra). Scelse alla fine quest’ultimo, dove entrò prima come novizio e infine vestì l’abito il 5 novembre 1960 alla presenza dei suoi familiari, tra cui la figlia. Lì ha vissuto i suoi ultimi anni (è morto nel 1964), organizzando e arbitrando anche partite tra i frati. Ma il Real Madrid non lo dimenticò: l’8 aprile del 1963 tutto il club, dal presidente Santiago Bernabéu alle stelle Di Stéfano e Puskás andarono a fargli visita.

Se però oggi è diventata la società di pallacanestro più forte d’Europa grandi meriti li ha Raimundo Saporta Namías, dirigente ai vertici del basket internazionale per quasi cinquant’anni. Dal 1962 al 1978 vicepresidente della polisportiva Real ma anche presidente della sezione cestistica (pure dal 1985 al 1991). Una figura chiave per entrambi gli sport, organizzatore dell’Eurobasket del 1973 e del Mondiale calcistico nel 1982. Un passato familiare emerso invece solo di recente quando El País portò alla luce una storia clamorosa di solidarietà che lo riguardava da vicino. Tra il 1940 e il 1944, quattro missionari clarettiani spagnoli salvarono a Parigi dalla persecuzione nazista almeno 138 ebrei, la maggior parte sefarditi. Un falso battesimo fornì loro l’opportunità di sfuggire all’orrore e scappare dalla Francia. Tra questi, come riferì anche Religión en libertad, c’era anche Raimundo Saporta, nato a Istanbul da famiglia sefardita, prima di approdare in Spagna viveva a Parigi dove fu battezzato a 16 anni dai Clarettiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Morì nel 1997 all’età di 70 anni e ricevette un funerale cattolico. La Spagna pianse uno dei suoi dirigenti più illuminati, braccio destro di Bernabéu, l’uomo che portò Di Stéfano ai blancos. Considerato il promotore della Coppa dei Campioni di pallacanestro, la Fiba gli intitolò anche la Coppa delle Coppe, la Coppa Saporta appunto. Il trofeo è stato archiviato nel 2002. Ciò che rimane però è lo spirito vincente degli uomini che hanno fatto grande il Real.


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