sabato 9 aprile 2022
Lo storico militare Santangelo analizza le invasioni respinte da Mosca: Carlo II di Svezia, Napoleone, Hitler «Contò lo spirito di sacrificio del popolo Ma quando si attacca servono obiettivi precisi»
Napoleone alla battaglia della Moscova (o di Borodino) del 1812 in una xilografia coeva

Napoleone alla battaglia della Moscova (o di Borodino) del 1812 in una xilografia coeva - Fototeca

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«Spero che tra 15-20 anni si potrà ragionare sui fatti di oggi e soprattutto sapere cosa Putin volesse esattamente conseguire il 24 febbraio. Sembrava che volesse tutto: abbattere Zelensky, cancellare l’Ucraina e riprendersi questa terra di frontiera come cuscinetto con la Nato». Invece, ragiona lo storico militare Andrea Santangelo, «permangono tanti interrogativi su questa strana "operazione speciale" e sul comportamento in guerra dei russi, al di là delle inefficienze, che in parte chi conosce l’argomento si aspettava». In particolare «perché non abbiano usato i loro sistemi d’arma più recenti come gli aerei Sukhoi Su-57 e i carri armati T-14 Armata, considerati i più moderni al mondo. Addirittura sui campi di battaglia ucraini si sono visti modelli degli anni Settanta». Una possibile spiegazione, che lo studioso azzarda, è che siano stati tenuti di riserva per fronteggiare un’eventuale reazione della Nato. Ma questi sono argomenti da analisti geopolitici. Santangelo - da storico abituato a riflettere sui documenti che al momento non ci sono - legge l’attuale situazione dalla sua prospettiva. Con la consapevolezza che, come ha detto il medievista Alessandro Barbero, la storia non dà insegnamenti, «tranne forse uno: mai invadere la Russia». Suggestione che Santangelo cita nel suo Invincibile Russia. Come Pietro il Grande, Alessandro I e Stalin hanno sconfitto gli invasori, appena uscito per Carocci (pagine 286, euro 22,00). Nel libro Santangelo (che ha al suo attivo, tra l’altro, recenti saggi su El Alamein e sulla linea gotica, entrambi per il Mulino) analizza tre campagne dirette contro l’immenso territorio russo, scelte come significative tra la dozzina di tentativi che si sono succeduti nei secoli, a partire da quello mongolo del 1236. Ci provarono senza successo il re svedese Carlo XII nel Settecento, Napoleone un secolo dopo, e da ultimo, Hitler nel 1941.

Questi precedenti storici cosa ci fanno capire?

Sono stati i tre momenti di formazione del modo di pensare russo, nel quale assume primaria importanza l’evitare di sentirsi soffocati, accerchiati, potenzialmente minacciati. Si è formata una, non comprovata, fobia dell’invasione, un sospetto per tutto ciò che potenzialmente viene dall’Occidente e dai suoi eserciti, che loro in qualche modo hanno sempre rincorso. Una cosa che ci insegna questa guerra in Ucraina, infatti, è che la Russia ha ancora molto da raggiungere, soprattutto dal punto di vista logistico e di manutenzione, rispetto agli eserciti occidentali.

C’è stata anche ammirazione, si pensi a Napoleone. Si può parlare anche di una sorta di complesso di inferiorità?

Agli inizi direi di sì. Pietro il Grande ha lottato per far diventare la Russia, da Paese arretrato, un Paese europeo. Andava a vedere come gli olandesi costruivano le navi da guerra e i prussiani addestravano l’esercito. Alessandro I nutriva un complesso di inferiorità verso Napoleone, ai tempi all’apogeo della potenza. Non avrebbe mai voluto andargli contro, ma vi fu costretto dal ceto mercantile russo.

Uno dei motivi della capacità di resistere dei russi è individuato nella predisposizione ai sacrifici del popolo e dei soldati. Oggi si parla, invece, di sconforto.

Ìl mio libro parla di invasioni subite. Con il nemico in casa la popolazione ha fatto ricorso a tutte le sue forze, soprattutto con i tedeschi, che si comportarono in modo terrificante. Infatti quella contro Napoleone è chiamata "guerra patriottica" quella contro i nazisti "grande guerra patriottica". Ma quando si va all’attacco gli obiettivi politici e militari devono essere precisi. Invece molti soldati di leva erano in Bielorussia per manovre e non sapevano che dovevano fare una "operazione speciale". Se non puoi contare su truppe altamente specializzate - come i contractors o il battaglione ceceno di Kadyrov, che è un vero spauracchio - ma fai combattere coscritti, questi devono sapere per cosa lo fanno. Altrimenti è difficile avere lo stesso coinvolgimento di quando si deve "salvare Mosca dai barbari". Basta che manchi la benzina a un carrarmato e tutti scappano.

L’intelligence americana sostiene che nemmeno Putin sarebbe pienamente informato dai vertici militari. C’è uno scollamento tra militari e politica? Da dove viene, dal tempo dell’Urss?

Sotto i sovietici c’era uno scollamento, perché nelle purghe del 37-38 Stalin aveva fatto fuori generali e colonnelli, temendo un colpo di Stato. Quando Hitler attacca, l’Armata rossa è nelle peggiori condizioni possibili. All’epoca esserne uno dei comandanti era poco conveniente. I predecessori erano stati fucilati e quelli di loro più esposti, se davano cattiva prova sul campo, come Popov, subivano la stessa sorte. Quindi dovevano dire che tutto andava bene. Oggi la situazione non è cambiata poi tantissimo: pare che i generali russi vengano destituiti uno dietro l’altro per i problemi che si sono evidenziati sul campo. Addirittura, da un video in cui il capo dei servizi ha auspicato il dialogo con gli occidentali ed è stato sconfessato da Putin, sembra che ci sia uno scollamento tra potere politico e l’Fsb, il potente successore del Kgb. Molti funzionari sono stati destituiti e addirittura incarcerati per inefficienza.

Qual è il peso dell’apparato militare sulla truppa?

Le strutture militari sono rimaste quelle di sempre. Nel libro parlo della consuetudine degli ufficiali di usare le truppe per tirar su soldi: li affittavano ai contadini o ai taglialegna. C’è sempre stata questa corruzione dei quadri intermedi, pagati poco, e che dunque si rifacevano usando il loro piccolo potere.

Lei scrive che l’aspetto militare della storia russa è stato trascurato dagli storici. Perché?

Secondo Churchill la Russia «è un enigma avvolto in un mistero... ». Noi occidentali non riusciamo a capire il comportamento dei russi e viceversa. Non so perché non si è mai investito nella ricerca storica in ambito militare russo, che è stata demandata ai servizi di intelligence, soprattutto americani, nella Guerra Fredda. Ma come ha scritto Tolstoj, se non si capisce l’animo bellicoso russo, la sua identificazione con gli aspetti di politica e potenza militare, non si arriva a comprendere pienamente la Russia.

Alla luce di ciò su cosa si dovrebbe puntare per un dialogo che giunga alla pace?

Ci vuole un’Europa forte politicamente che riesca a mettere d’accordo Russia, Usa e Cina. C’è tutto un mondo dell’Est, anche l’India, stanco e arrabbiato nei confronti degli ultimi 80 anni di politica economica mondiale. Ad esempio per il fatto che il dollaro sia la moneta di riferimento. Grandi economie come quella cinese, indiana e russa la considerano una cosa vecchia e da cambiare. Dietro la guerra in Ucraina ci sono anche queste pulsioni a cambiare il senso della globalizzazione.

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