martedì 3 ottobre 2023
Granchi, pesci, insetti: le forme dannose sono soltanto il 10% delle 37mila specie non indigene. Hanno effetti non solo ambientali, ma anche economici, stimati in 400 miliardi all’anno
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Per parlare di “alieni”, parto da lontano, dalle basi della conservazione. Sono millenni che noi uomini cacciamo e peschiamo per sostentarci, tagliamo foreste per costruire i nostri insediamenti, bruciamo legno e altri combustibili naturali per procurarci energia, rilasciamo nell’ambiente i residui delle nostre attività, e trasportiamo specie nei nostri spostamenti introducendole al di fuori del loro areale naturale. Se l’impatto di tutte queste attività era praticamente nullo 6mila anni fa, quando sulla terra c’erano meno di 20 milioni di abitanti, ed era contenuto nel 1500, quando eravamo circa 500 milioni, oggi, con 8 miliardi di persone e l’esplosione delle attività umane, per evitare di distruggere specie ed ecosistemi dai quali dipendiamo dobbiamo ridurre i nostri impatti e rendere le nostre attività più sostenibili.

Tra gli effetti negativi delle nostre attività sulla biodiversità quello meno compreso è lo spostamento e il rilascio in natura da parte dell’uomo di organismi di altre aree del mondo, specie che chiamiamo “aliene”. Anche se non ce ne rendiamo conto, questo è un fenomeno cominciato molti millenni fa; basti pensare al muflone, trasportato 7mila anni sulle piroghe dei primi naviganti del mediterraneo dal medio oriente fino in Sardegna, o al cipresso introdotto forse già dagli etruschi. Non tutti gli spostamenti di specie avvengono intenzionalmente; pensiamo ai ratti e ai topi che hanno viaggiato sulle nostre navi come clandestini fino a colonizzare ogni angolo del mondo, anche i più remoti. Nel corso della storia alcune specie aliene hanno arricchito i nostri paesaggi e la nostra vita, come il cipresso della Toscana e il muflone da cui sono discesi gli ovini che alleviamo da millenni. In alcuni - pochi - casi però, le specie aliene causano impatti molto gravi alla biodiversità e alla nostra vita ed è di queste che vi parlerò, quelle che chiamiamo specie aliene invasive.

Fino a qualche decennio fa questo era un tema praticamente sconosciuto, ma i dati raccolti a scala mondiale hanno purtroppo costretto chi lavora nella conservazione della natura ad affrontarne gli effetti, che possono essere drammatici. Le specie introdotte hanno giocato un ruolo nel 60% delle estinzioni note e hanno rappresentato l’unico fattore nel 16% delle estinzioni globali, oltre ad aver causato oltre 1.200 estinzioni locali e a colpire in alcuni casi interi ecosistemi. Ma non è solo un problema ambientale, le specie aliene invasive hanno impatti anche sulla nostra vita, perché limitano l’accesso al cibo e all’acqua per molte comunità, aumentano i rischi sanitari, e colpiscono le attività economiche dell’uomo, in alcuni colpendo gli anelli più deboli delle nostre società, come le donne e i bambini. Le perdite economiche complessive sono stimate in circa 400 miliardi di euro all’anno, costi che sono quadruplicati ogni 10 anni nell’ultimo mezzo secolo. Solo per fare qualche esempio, la cimice asiatica arrivata accidentalmente in Italia circa un decennio fa causa centinaia di milioni di euro di danni alla coltivazione della frutta in Val Padana, e la formica di fuoco, arrivata da poco in Sicilia, potrebbe diventare un vero flagello per l’agricoltura, l’allevamento e la salute di chi vive nelle aree di presenza.

Un altro dei motivi per cui è urgente impegnarci per contenere i danni causati dalle specie aliene invasive è che questo fenomeno è in crescita esponenziale, a causa della globalizzazione delle economie e del conseguente aumento di commerci, trasporti e del turismo. Un recente rapporto sulle specie aliene invasive prodotto dall’International platform for biodiversity and ecosystem services (Ipbes), che è per la biodiversità quello che è l’Ipcc per i cambiamenti climatici, indica che nel mondo ci sono circa 37mila specie aliene, delle quali oltre un terzo introdotte negli ultimi 50 anni e si prevede che il numero aumenterà di un altro terzo nei prossimi decenni, se non correremo ai ripari.

Ma come affrontare questa minaccia? Innanzitutto, ripetiamolo, non vanno combattuti tutti gli “alieni”, molte specie che abbiamo introdotto nella nostra storia, come il cipresso, il pomodoro, la patata, per non parlare di galline e pecore, sono tasselli essenziali della nostra vita e hanno un posto importante nella nostra storia e nei nostri paesaggi. Solo 3.500 delle 37mila specie aliene hanno effetti negativi, meno del 10% di tutti gli “alieni”. Poi dobbiamo comprendere che questo fenomeno è strettamente legato ai nostri comportamenti, ai nostri spostamenti e alle nostre abitudini. Per poterne mitigare gli effetti negativi serve quindi diventare tutti più consapevoli, ripensando alcune delle nostre attività, anche solo scegliendo con un po’ più di attenzione i nostri animali da compagnia, le piante per i nostri giardini, o i pesci che peschiamo nei nostri fiumi.

Il rapporto Ipbes sulle specie aliene invasive conclude che è ancora possibile mettere sotto controllo questa minaccia, proteggendo i nostri ambienti e evitando l’arrivo di altri granchi prepotenti, altre mordaci formiche e altre zanzare fastidiose. Ma servono politiche più attente, investimenti significativi e – soprattutto - comportamenti più responsabili di tutti noi.

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