venerdì 25 settembre 2009
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Un curriculum eccellente, di quelli che fanno gola alle multinazionali (crisi o non crisi). Triangolazioni continue Parigi, New York, Londra. L’appartamento parigino, con tanto di vista sulla torre Eiffel. Le porte di Wall Street che si spalancano. La vertigine che viene dal manovrare miliardi. La sicurezza che deriva da una competenza costruita con intelligenza e dedizione. E il conto in banca che lievita, assieme alle luccicanti promesse del futuro. Un edificio perfetto quello costruito, mattone dopo mattone, da Henry Quinson.Agli occhi di tutti – amici, parenti, colleghi – il giovane trader è l’incarnazione dell’uomo di successo. Pur entrando nella stanza dei bottoni di uno degli istituti di credito francesi più importanti, la banca Indosuez, Quinson – franco-americano, classe 1961 – non conosce la voracità del "conquistatore". Il suo profilo non si accorda a quel particolare identikit di manager (la recente crisi che ha infettato le economie di mezzo mondo ne ha svelati tanti), disposto anche a truccare le carte. Anni dopo, quando la sua vita sarà rivoltata come un guanto, Henry Quinson mette a fuoco la sua "malattia", il tarlo che rosicchiava quella vita apparentemente perfetta, l’inquietudine che gli impediva di godere pienamente dei suoi successi. Con candore lo chiama un «handicap spirituale». La sete di ricchezza si sbriciola, l’ansia di potere scoppia come una bolla di fronte a un’invasione che Quinson sperimenta come «una pace indicibile»: la forza della preghiera. Ma all’ex manager non basta essere un religioso, vuole essere un «innamorato». «È – scrive nel suo diario-testimonianza, Dallo champagne ai Salmi. L’avventura di un banchiere di Wall Street diventato monaco di periferia, San Paolo, pag. 214, euro 18) – una cosa assolutamente folle: devo abbandonare tutto per Lui». Dell’uomo che nel 1989 mieteva successi nel mondo – competitivo fino al cannibalismo – della finanza oggi non c’è più quasi traccia. L’agente di Wall Street si è dissolto. Al suo posto c’è il monaco. Monaco «di periferia», come si definisce. Una folgorazione? Piuttosto una scalata. Faticosa. A tratti incerta. Accompagnata da un lavorio intellettuale, un’indagine che lo porta a sperimentare, a entrare nel monastero di Tamié, a soggiornare nella comunità di Bose, a chiedersi continuamente quale sia la propria strada. Quinson si sente sospeso tra la scelta monastica e il tormento per il mondo che lo inchioda e, al tempo stesso, lo spaventa. Una ricerca che finalmente scopre il suo approdo. Marsiglia. Le periferie ingrossate dall’arrivo di immigrati, in gran parte magrebini. Zone di confine nelle quali l’islam diventa ogni giorno di più aggressivo. Quella «linea sismica» lungo la quale Nord e Sud del mondo si annusano, si scontrano, si compenetrano. Degrado. Disoccupazione. Povertà. Sono i mali che si annidano dietro quei casermoni tutti uguali, nei quali ogni idea di bellezza è congedata, nati come soluzione architettonica provvisoria, ma diventati nel tempo «ricettacolo» delle successive ondate migratorie. L’analisi del monaco-banchiere è lucida: le periferie sono il luogo nel quale finiscono per sommarsi «le logiche tribali», delle quali spesso sono portatori gli immigrati, e «la cultura individualista dell’Occidente», una cultura che riduce tutto a guadagno. Come agire? Come trasformare i guasti in risorse? La risposta è netta: mettersi alla pari con chi nelle periferie vive e lotta. Niente superiorità, niente altezzose distanze. Piuttosto sperimentare – giorno per giorno – la vicinanza. Ecco la strada che il monaco sente appartenergli intimamente: fondare una fraternità, la cui prima regola è l’accoglienza. Quinson sa che solo la mutua conoscenza può annullare quella visione dell’altro dietro la quel spesso ci abbarbichiamo, una visione troppe volte «caricaturale, ideologica». Obiettivo numero uno: i giovani. Recuperarli, puntando sull’insegnamento. La lingua è la prima barriera da abbattere: un muro che finisce per separare non solo alunni e genitori tra i banchi di scuola, ma – all’interno delle stesse famiglie – figli e genitori. L’altro punto di forza: la comunione. Dall’isolamento, dalla non conoscenza nasce la diffidenza, l’odio. La ricetta è mescolare i mondi, favorire gli incontri. Ecco allora il programma del monaco delle periferie farsi regola di vita: «Comunione nelle prove difficili e nel reciproco perdono, comunione della preghiera fraterna e nell’accoglienza del prossimo». Wall Street non abita più qui.
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