martedì 19 gennaio 2021
Usciva nel gennaio 1921 il primo numero di “Terrasanta”, il periodico della Custodia francescana. Il direttore Caffulli: un’esperienza che ha accompagnato e a volte anticipato il percorso della Chiesa
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Un secolo fa l’Impero ottomano si era appena dissolto, lo Stato ebraico era un progetto simile a un sogno, Gerusalemme era già considerata patrimonio comune dell’umanità, come dimostrava l’edificazione della Basilica delle nazioni al Getsemani «con il contributo di quei Paesi che in guerra si erano scontrati da nemici e ora collaboravano per ricostruire uno dei luoghi più significativi della Terra Santa». È la riflessione con cui il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, introduce il numero speciale della rivista nata nel 1921, durante il Custodiato di padre Ferdinando Diotallevi.

L’attuale Terrasanta usciva allora con una testata in parte diversa, La Terra Santa, e la redazione aveva sede proprio presso la Custodia francescana di Gerusalemme, dove è rimasta fino al 2005. Il trasferimento delle attività a Milano risale al 2006 ed è nella palazzina del Centro di Propaganda e Stampa di Terra Santa in via Gherardini, a pochi passi dall’Arco della Pace, che è stato realizzato il numero commemorativo. Tra le numerose firme che si incontrano in questo viaggio a distanza nella storia e nella geografia del Medioriente, da segnalare, tra gli altri, i contributi dello storico recentemente scomparso Massimo Campanini, di padre David Neuhaus, dell’archeologa Besema Hamarneh, di Ugo Tramballi e di Andrea Tornielli.

Di particolare interesse l’inserto fotografico con rare immagini d’epoca. Sia pure con le dovute differenze, l’obiettivo della pubblicazione è rimasto lo stesso indicato nell’editoriale del primissimo numero, datato 15 gennaio 1921: «propagare la cognizione della Terra Santa nel suo carattere di Terra di Dio, patria di Gesù, teatro della redenzione umana e del quale si conservano i venerandi Luoghi che sono i nostri Santuari ». Programma impegnativo, la cui attualità è però ribadita con convinzione dal direttore di Terrasanta, Giuseppe Caffulli.

«Mi sembra particolarmente significativo – dice ad Avvenire – che questo anniversario cada in un momento tanto particolare, nel quale si fa pressante l’invito delle Chiese e delle comunità locali a non dimenticare la Terra Santa. Non si tratta soltanto delle difficoltà di spostamento causate dalla pandemia, ma di un contesto drammaticamente complesso, nel quale rientrano guerre, movimenti di profughi, dissidi mai risolti. Quando parliamo di Terra Santa, infatti, ci riferiamo a un’area molto vasta, che comprende, insieme con Israele e Palestina, anche Siria, Libano, Giordania, Egitto, su su fino a Cipro e Rodi».

Trarre il bilancio di un’esperienza tanto lunga e articolata non è semplice. Tra gli aspetti che Caffulli suggerisce di privilegiare c’è anzitutto quello relativo al dialogo ecumenico.

«L’esperienza della Terra Santa ha incarnato e in diversi casi anticipato il cammino compiuto dalle Chiese cristiane negli scorsi decenni – osserva –. In questo senso, quello che accade nei luoghi santi è stato e continua a essere il laboratorio e la prova provata di un rapporto che oggi è sempre più di condivisione e amicizia. In passato, lo sappiamo bene, non era così. Prevaleva un atteggiamento di lontananza che poteva anche sfociare in ostilità. Ma con il tempo la convivenza quotidiana è diventata il segno di un ecumenismo concreto, che rappresenta un modello anche per i cristiani di altre parti del mondo».

Da non sottovalutare, inoltre, il ruolo svolto dalla Custodia nell’ambito dell’archeologia biblica attraverso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. «Da sempre Terrasanta si propone anche come strumento di divulgazione per il lavoro prezioso degli archeologi francescani – sottolinea Caffulli –. Le scoperte si susseguono ancora oggi e ogni volta contribuiscono a dare ulteriore spessore storico all’annuncio dei Vangeli. L’affioramento più recente? Quello di una vasca per la purificazione in corrispondenza del Getsemani. Era già noto che il toponimo rimandava all’esistenza di un frantoio, che rendeva necessarie le abluzioni rituali. La presenza della vasca non fa altro che confermare quanto tramandato».

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