martedì 1 agosto 2017
Chiese e musei che riaprono, mostre e anche una summer school per toccare con mano la ricostruzione. Le iniziative di una regione che fa ancora i conti con le macerie
Particolare dell'abside della collegiata di Visso (Macerata)

Particolare dell'abside della collegiata di Visso (Macerata)

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Per una regione ancora traumatizzata dalle ferite del terremoto è un’ottima notizia. Domenica è stata riaperta al pubblico la cattedrale di Matelica, la prima chiesa delle Marche danneggiata dal sisma che torna così fruibile da fedeli e visitatori. A darne la notizia è il sindaco del Comune maceratese, Alessandro Delpriori, impegnato da mesi nei lavori di riapertura del museo civico Piersanti. Le cinque sale del pianterreno sono state da poco riaperte, assieme al giardino e al cortile. «Certo, è poco rispetto alle trenta sale di prima– racconta – ma in questo modo siamo riusciti a esporre le opere più importanti, come la Madonna col Bambino di Gentile e Giovanni Bellini». E per dicembre sta pensando ad un convegno sul museo e sul suo fondatore, monsignor Venanzio Filippo Piersanti. Delpriori è un amministratore locale, ma è anche uno storico dell’arte che, insieme ad Andrea De Marchi dell’università di Firenze e la Fondazione Federico Zeri dell’università di Bologna, ha organizzato una summer school, portando qui in visita venticinque tra dottorandi e laureati in Storia dell’arte e Conservazione dei Beni culturali: obiettivo, toccare con mano cosa è accaduto e come sta procedendo la ricostruzione.

E se il centro di Matelica appare improntato alla normalità – le vie del centro sono affollate, negozi e bar aperti, il teatro Piermarini attivo (una piccola Scala di Milano in miniatura: l’architetto era proprio quel Giuseppe, nato a Foligno nel 1734) – altrove i danni sono ben visibili. Ancora tanti i centri, piccoli e grandi, duramente colpiti: da Nocelleto a Visso, eletto “borgo più bello d’Italia”, nel cui museo si conservava il manoscritto autografo dell’Infinito di Giacomo Leopardi; fino al monumentale santuario di Macereto, un pezzo di architettura bramantesca che si erge isolato in mezzo all’omonimo altopiano. Lesioni, crepe, ma anche interi edifici crollati: a distanza di mesi le strade di Visso e Camerino sono ancora piene di macerie.

Ma il timore principale riguarda soprattutto lo spopolamento. «Ma è una crisi precedente al terremoto: la fuga dalle montagne verso le coste è in atto da tempo» spiega Elisabetta Giffi, storica dell’arte e originaria dell’entroterra marchigiano. I modi per arginare questa crisi però ci sono: quindici anni fa si tenne una mostra rimasta agli annali per successo di pubblico con quarantamila visitatori: Il Quattrocento a Camerino curata proprio da De Marchi, che rimane ancora oggi un esempio di come si possano fare mostre di alto livello partendo dalle opere del territorio (e senza inserire nomi d’effetto come l’ormai immancabile Caravaggio). «Dopo il terremoto del ’97, la ripartenza fu segnata proprio da quella mostra, grazie anche alla creazione del polo espositivo di San Domenico» ricorda Claudio Pettinari, rettore dell’Università di Camerino.

Uno dei capolavori esposti all’epoca è stato scelto come immagine-logo della summer school: l’Annunciazione di Giovanni Angelo d’Antonio da Camerino, tutta giocata su scorci prospettici e fughe architettoniche che ricordano Lippi o Mantegna. Un artista divenuto suo malgrado simbolo di queste aree terremotate, un po’ come è accaduto per il Lazio con Cola dell’Amatrice. La pala è stata prestata agli Uffizi per la mostra Facciamo presto! che ha chiuso domenica (una parte dei ricavi dai biglietti è andata agli enti marchigiani prestatori), mentre fino al primo ottobre è aperta Capolavori Sibillini a Osimo (Ancona), con cento opere provenienti dai centri dei monti Sibillini come Montefortino o Montemonaco. «La tragedia del sisma potrebbe diventare una svolta – dichiara De Marchi –, con nuovi progetti innanzitutto culturali. Penso al museo diocesano di Camerino, che andrebbe ripensato: altri spazi in alternativa non mancano, come ad esempio il tempio Varanesco. Magari non è la sede ideale, ma vi si potrebbero intanto portare alcune opere».

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