venerdì 2 giugno 2023
Esce postumo alla morte del noto editorialista il suo toccante mèmoire, "Azzurro. Stralci di vita", in cui ripercorre le tappe salienti della sua vita professionale iniziata da giornalista sportivo
Il giornalista Curzio Maltese (1959-2023)

Il giornalista Curzio Maltese (1959-2023)

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C’è un libro che si aggira per gli scaffali, che per chi ancora fa, e soprattutto crede, in questo mestiere vilipeso – per nostra stessa mano, sulla tastiera - del giornalista, che è una sorta di grillo parlante. Il libro in questione è Azzurro. Stralci di vita (Feltrinelli. Pagine 170. Euro 19,00) e prima di andarsene via, troppo presto, lo ha scritto un grillo scrivente, Curzio Maltese. Un collega che non ha risparmiato stilettate alla Chiesa con il suo libro La questua (Feltrinelli) - al quale Avvenire rispose con il pamphlet La vera questua di Umberto Folena- ma che va riconosciuto come un avversario leale. Personalmente l’ho sfiorato diverse volte a San Siro, ma quando ho iniziato a frequentare assiduamente gli stadi lui si congedava da ciò che è stata la sua prima vera vocazione: il giornalismo sportivo. Sì perché ancor prima della firma d’assalto e d’inchiesta, del castigatore di truffatori di Stato e tangentisti e dell’editorialista de La Repubblica (vi ha militato dal 1995 al 2021, con finale al Domani) la palestra di questo eterno ragazzo, classe 1959, fu lo sport. E il calcio in particolare. Quando era un ragazzino di bottega, correttore di bozze per l’editore Guanda e “trafilettatore” per Panorama ci fu la folgorazione. Collaborando a Radio Popolare un giorno in redazione entrò il principe degli irregolari della narrazione domenicale, Beppe Viola. Un’altra stella cometa che quando è volato via, nel 1982, a 43 anni, lo scriba massimo del folber, Gianni Brera, scrisse salutandolo per sempre: «È morto Giuseppe - Pepinoeu - Viola. Aveva 43 anni! Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli... Povero vecchio Pepinoeu!». Curzio Maltese ha fatto appena in tempo a stringere la mano a quell’angelo del Beppe, di cui scrive in Azzurro: «Era il mio idolo. Quello di Vincenzina e la fabbrica, delle telecronache surreali e folgoranti, dei dialoghi di Romanzo popolare che conoscevo a memoria». Beppe Viola uno di noi. Il punto di riferimento per quella generazione di ragazzi come Curzio - nato a Roma e cresciuto ai bordi della periferia milanese, a Sesto San Giovanni – animati da «una gran voglia di ridere. La comicità per noi ragazzi degli anni ’70 era un bene diffuso, a bassissimo costo e di alta qualità…». Così ridevano, in quel tempo grigio, anni di piombo e di morti ammazzati, di martiri del giornalismo e della politica, spesso eliminati su commissione dello stesso Palazzo di sterco e cartone. Quindi per Curzio e la sua compagnia romantico battistiana non restava che «ridere come pazzi e poi, con un pensoso e penoso senso di colpa passavamo alle cose serie, la politica, il giornalismo e la cultura ufficiali… Un po’ come era capitato ai nostri nonni con Petrolini e Totò, abbiamo capito tardi che i buffoni, Fo, Jannacci, Saviane, Andreasi e Viola erano le persone serie, e gli altri dei mediocri pagliacci ». Questa la formazione del cuore di Maltese che dopo il trionfo del Mundial di Spagna inizia a vergare pezzi di sport (ma anche di cultura, cronaca rosa e nera) al quotidiano La Notte dove conosce Gigi Garanzini che dopo aver letto il suo primo articolo ammette con generosa umiltà: «Non riuscirò mai a scrivere un articolo così bello in tutta la vita». Quelle perle di sport poi Curzio le ha infilate in serie anche nel periodo trascorso alla Gazzetta dello Sport dove l’intervista che rimarrà per sempre la sua medaglia olimpica al collo sarà quella al “Barone”, Nils Liedholm dal quale ricevette l’encomio: «Sei così giovane e così bravo». Il talento di mister Curzio, che da Liedholm apprese anche la lezione fondamentale sul calcio: «Tutti si sperticano in dettagli tecnici ultramoderni e non si accorgono che il calcio resta sempre lo stesso. L’unica cosa che c’è di moderno, sono gli scarpini». Anche per un giornalista di razza a cambiare nel tempo sono solo le scarpe consumate dai viaggi. E Maltese di scarpe ne ha consumate tante. Spirito libero e irrequieto lascia la Gazzetta e trasloca al Corriere dello Sport nella Roma di quel padre che ha perso quando era troppo piccolo. Cresciuto da mamma Teresa, commessa alla Rinascente, l’unica rimasta della famiglia, perché la sorella di Curzio, Cinzia Maltese, giornalista della Domenica Sportiva l’ha stroncata un male indicibile, a 38 anni. Vuoti a perdere, ma la vita è come una bicicletta, finché puoi devi pedalare. E così quando Curzio passa a La Stampa accetta la sfida dell’allora direttore Gaetano Scardocchia che lo spedisce al Giro d’Italia. «Per la prima volta ho delle reticenze… Ma nessun’altra esperienza politica fu più utile di quel Giro (del 1990, ndr), per capire l’epoca a venire, da Mani pulite alla vittoria di Berlusconi. Ancora oggi consiglio a chiunque voglia indagare l’anima del nostro paese – giornalisti, scrittori, politici – un’estate di suiveur ». Al Giro conobbe e ne rimase estasiato, Gino Bartali, il cui ritratto sta tutto dentro quei versi, «quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita », del suo poeta preferito, Paolo Conte. Il titolo di questo memoire scritto ai tempi supplementari di un’esistenza minata dalla malattia, si riferisce anche alla passione azzurra per la Nazionale di calcio che Maltese ha seguito fino al Mondiale di Usa ’94, ma in primis, alla canzone manifesto di Conte (portata al successo dal ragazzo della via Gluck, Adriano Celentano) che è stata la colonna sonora (con Gli impermeabili , sempre di Conte) di un’infinita giovinezza. Siamo stati felici, ricorda Curzio, specie nelle estati trascorse nella casa di campagna di Nocera Umbra, dallo zio Alberto, ex calciatore di Catanzaro, Cagliari e Parma, icona da lare domestico che per primo ha creduto nel nipote “scrittore di giornali”. Un rabdomante di intuizioni e come tutti i grandi di questo mestiere un preveggente. Con gli spostamenti continui sulle fasce dello Stivale, da nomade delle redazioni, e l’esperienza vivace del ragazzo cresciuto troppo in fretta, più per amore (per Paola) che per rabbia, da possibile allievo modello della scuola breriana e quindi “antagonista” del futuro collega a Repubblica Gianni Mura, Maltese diventa il marcatore a uomo di Silvio Berlusconi. Il tridente composto da Curzio, il cuore Toro Massimo Gramellini e Pino Corrias, nel ritiro precampionato di Punta Ala stese tutto d’un sorso il libro «golpe», 1994 Colpo grosso (Dalai Editore) . «Il miglior libro scritto su Berlusconi», recensiva ammaliato l’allora giovane, anche lui, Marco Damilano. Comincia con questo bestseller politico la stagione degli amori di Maltese che non abbandonerà mai il primo amore per il calcio e lo sport tutto, ma per coscienza civica e missione deve concentrarsi sul Paese reale. Lo indagherà a fondo, fino all’ultima avventura, quella politica di europarlamentare (eletto nel 2014 nelle liste “L’altra Europa per Tsipras”, assieme all’amico e ultimo partigiano greco Manolis Glezos), cercherà di dare risposte a se stesso e ai cittadini. Ma l’unica risposta al ciò che siamo e che forse saremo glie la diede sempre il suo poeta, Paolo Conte incontrato in un pomeriggio azzurro, ad Asti. Come il suo illustre concittadino Vittorio Alfieri, Conte dipinge il più crudo e veritiero degli affreschi sugli italiani e lo consegna alla penna sagace e corrosiva di Maltese che riporta le frasi dell’avvocato chansonnier: «Il fatto è che siamo molto vecchi di sangue, ma giovani come stato, poco uniti e sempre in rodaggio». Parole, in fondo d’amore, scritte a macchina e danzate sulla tastiera come una milonga dal prode Curzio, incoronato pallone d’oro della cara vecchia carta stampata dalla triade aurea Giorgio Bocca, Enzo Biagi e Indro Montanelli che, nel consegnarli il premio “È giornalismo” scrissero nella motivazione: «Tre vecchi colleghi vogliono dirti la loro stima. Nel mondo della carta stampata ci sono dei talenti, ma scarseggiano i caratteri, Hai tutte e due queste rare qualità. Con tanti auguri per il tuo lavoro e la tua vita». Il lavoro poi è stato intenso e sempre di altissima qualità. La vita invece troppo corta, anche per bere i vini sbagliati. Curzio Maltese è stato e continua ad essere negli scritti che ha lasciato, compreso il nostalgico e struggente Azzurro, un Barolo o un Barbaresco pregiatissimo, da stappare, per ricordare i giorni felici o per dimenticare i giorni bui, come questi, in cui il mestiere del giornalismo che lui ha onorato e amato fino all’ultimo respiro. Mentre la malattia implacabile lo consumava, ricordava a noi ultimi partigiani dei giornali di carta, e a futura memoria, che «l’informazione che ormai viaggia su Internet necessariamente diventa superficiale. Tutto è veloce, copre lo spazio di uno slogan o di un titolo di cronaca. Sul web non c’è tempo per le riflessioni, né per l’inchieste che per quanto mi riguarda significa il vero giornalismo». Scrivere e andare alla radice dei fatti e delle storie, è come prendere un respiro profondo o come ridere di questa vita in cui «cerco l’estate tutto l'anno. E all'improvviso eccola qua». Curzio Maltese se ne è andato prima che arrivasse questa estate, nel febbraio scorso, lasciando l’ultimo messaggio, da fiero suiveur a vita, a suo figlio Zeno, che è poi l’augurio che ogni genitore dovrebbe ripetere ogni giorno al proprio figlio: « Provo a immaginarmi come sarà tra dieci anni. Un uomo per bene, intelligente. Felice. Continuo a seguirlo tra la neve e i pini ». E noi, tuoi compagni di lotta per un giornalismo (sportivo) di carta stampata che non muoia mai, continuiamo a camminare per le strade del mondo cantando la tua canzone: « Ma come piove bene sugl'impermeabili. E non sull'anima».

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