giovedì 30 agosto 2018
A Venezia la denuncia dell'attore, che interpreta il 31enne ucciso in cella: «In pochi anni nel nostro Paese morti ottocento detenuti». Il regista Cremonini: «Il mio lavoro basato tutto sulle carte»
L'attore Alessandro Borghi (a sinistra) nei panni di Stefano Cucchi

L'attore Alessandro Borghi (a sinistra) nei panni di Stefano Cucchi

COMMENTA E CONDIVIDI

«Oggi prendersi delle responsabilità non è più di moda. Ognuno pensa solo ai fatti propri, è così anche nei condomini». Lo dice Alessandro Borghi che in Sulla mia pelle, ieri in apertura della sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema Venezia, regala sullo schermo anima e corpo alla dolorosa vicenda di Stefano Cucchi, 31enne ragioniere romano morto il 22 ottobre 2009 mentre si trovava in custodia cautelare. Diretto da Alessio Cremonini, il film ripercorre gli ultimi sette giorni della vita del ragazzo, dall’arresto al decesso presso l’ospedale “Sandro Pertini” di Roma a partire dalle 10mila pagine di verbali e dalle lunghe conversazioni con i famigliari del ragazzo, i suoi amici e l’avvocato Fabio Anselmo. Il risultato è un tragica odissea fatta di errori e prepotenze, indifferenza e paura, decisa a restituire il calvario di Stefano, ma anche attenta a non emettere facili sentenze.

«Ci siamo accostati a questa materia così incandescente – dice il regista – senza pregiudizi. Non è nostra intenzione condannare nessuno, ma scavare per cercare la verità, come detective o archeologi. E non bisogna neppure dimenticare le condizioni di estrema difficoltà nelle quali lavorano i tutori dell’ordine. Volevamo però che tutte quelle carte attentamente studiate diventassero carne». «D’altra parte – continua – negli ultimi cinque o sei anni in Italia sono morte circa 800 persone in carcere». Per interpretare Cucchi, Borghi ha fatto uno straordinario lavoro anche sul proprio corpo, che oltre a perdere diciotto chili si è come spento e ripiegato su se stesso. Ma se la sua è un’interpretazione fuori dal comune, bravissimi sono pure Jasmine Trinca nei panni di Ilaria Cucchi e Max Tortora e Milvia Marigliano in quelli dei genitori. Merito del film poi non è solo quello di lavorare di sottrazione rinunciando ad accuse e proclami, ma anche di raccontare con lucidità tutte le contraddizioni di Stefano, il rifiuto di denunciare e di farsi ricoverare subito dopo il pestaggio.

«Sono convinto che la sua omertà – dice ancora Borghi – derivi da una forma mentis di borgata che impone di non fare mai la spia. Ma forse Stefano ha pure sottovalutato le sue condizioni fisiche. I social e il popolo degli haters ci hanno abituati però alla condanna senza appello: per tanti Stefano era solo un tossico. Ma lui stava cercando di cambiare, seppur continuando a sbagliare, come tanti di noi. E di questo cambiamento faceva parte la fede, che lo faceva stare tanto meglio». La Trinca invece parla di «omicidio di Stato» dal momento in cui lo Stato non è intervenuto per indagare e conoscere la verità. Il film, distribuito nelle sale il 12 settembre da Lucky Red, arriverà contemporaneamente anche su Netflix in ben 190 Paesi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI