mercoledì 23 agosto 2017
La showgirl parla di teatro, di famiglia, di fede, di impegno civile e del suo rapporto con la televisione: «La amo ma come i soldi non rende felici». A ottobre torna con Trenta ore per la vita.
Lorella Cuccarini (Foto Ansa)

Lorella Cuccarini (Foto Ansa)

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Quando, all’inizio dell’estate, sono stati presentati i palinsesti televisivi per il prossimo autunno, uno dei nomi che molti avrebbero voluto leggere e che, invece, mancava era quello di Lorella Cuccarini. Chi se ne è dispiaciuto, si rallegrerà leggendo questa intervista nella quale la showgirl dice e dimostra chiaramente che non si vive solo di tv. Almeno lei: «Mi piace farla ma non sono una di quelle che scalpita se non la fa».

Lei però, Lorella, è nata proprio in televisione.

«Per questo, forse, la amo così tanto. Però mi piace esserci se c’è qualcosa di interessante, un bel progetto in cui credo, altrimenti aspetto».

Nemicamatissima, lo show che lo scorso anno l’ha vista nuovamente insieme a Heather Parisi su Raiuno dopo tanti anni, era un bel progetto? La sua collega ha sparato a zero su quel programma dopo la messa in onda.

«Pur con tutte le difficoltà e le chiacchiere che sono state fatte, era proprio un bel progetto che mi ha permesso di tornare al varietà televisivo. Ho ballato, il programma è piaciuto, gli ascolti sono stati ottimi, che vogliamo di più?».

I suoi fan la vedranno comunque in televisione a ottobre nel consueto appuntamento con Trenta Ore per la Vita.

«Siamo arrivati a ventitré anni, è davvero una grande soddisfazione perché è una di quelle esperienze che ti permette di mettere la tua immagine a disposizione di cause importanti. E anche perché ti mette in contatto con un’Italia che viene raccontata sempre troppo poco, quella che risolve i problemi della persone o, almeno, ci prova. Un’Italia fatta di medici, di famiglie, di associazioni, di volontari che affrontano il dolore e le difficoltà e che con forza e coraggio riescono a smuovere le montagne».

Anche quest’anno Trenta Ore per la Vita attraverserà diversi programmi televisivi della Rai?

«Sì, conduttori e redazioni ci accolgono con grande affetto. Sarà una settimana di sensibilizzazione e di raccolta fondi, dal 2 al 9 ottobre. Dopo tre anni in cui ci siamo occupati di oncoematologia pediatrica, ora ci aspetta una nuova sfida con due nuovi progetti che riguardano l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Federazione Italiana Epilessia».

Dunque vi occuperete di epilessia?

«Nel mondo ci sono 65 milioni di persone che ne soffrono e, dei malati italiani, quarantamila cono bambini e adolescenti, il 30% dei quali in maniera grave. Nonostante questi numeri, di epilessia si parla ancora troppo poco, e i fondi stanziati sono troppo pochi, perché è una malattia su cui continuano a esserci dei pregiudizi. Con questa edizione di Trenta Ore per la Vita vogliamo supportare i due progetti di cura e di ricerca di cui parlavo prima ma, anche, sconfiggere gli assurdi luoghi comuni che gravano sull’epilessia».

A parte Trenta Ore per la Vita quali saranno i suoi prossimi impegni lavorativi?

«Centosettanta repliche teatrali, da ottobre a maggio».

Meno male, allora, che non farà televisione…

«Effettivamente quest’anno sarebbe stato un po’ complicato, i tempi del teatro non corrispondono quasi mai con quelli della tv e io andrò in scena con due spettacoli. Da ottobre a metà novembre sarò insieme a Giampiero Ingrassia, con Non mi hai più detto ti amo, scritto e diretto da Gabriele Pignotta. È una commedia divertente che è stata accolta con grande calore al suo debutto. Mi ha permesso di misurarmi con un genere piuttosto inconsueto per me e di offrire al pubblico, con tutta l’umiltà del caso, anche alcuni spunti di riflessione. Da novembre a fine febbraio sarò di nuovo La Regina di ghiaccio, un musical anch’esso già molto apprezzato. Da marzo fino al 20 maggio tornerò con Non mi hai più detto ti amo. Mi piace il teatro perché mi porta a contatto con le persone che mi seguono e mi apprezzano. E mi regala tante soddisfazioni».

Lei ha spesso dichiarato che anche la famiglia le dà tante soddisfazioni.

«La famiglia conta più di qualsiasi altra cosa. Quando parlo di realizzazione personale, la intendo a 360 gradi. Sono fortunata perché faccio il lavoro che mi piace e che avrei sempre voluto fare e perché quando torno a casa trovo un mondo di affetti, di pensieri e, anche, di preoccupazioni. Se questo non mi fa finire sulle copertine dei settimanali, chi se ne importa, ci andrà qualcun altro. Non si può vivere solo di quello così come non si può vivere solo per i soldi. Se ci sono, aiutano, ma non danno la felicità».

E cosa la rende felice?

«Tante cose. Io mi sento una donna davvero felice e realizzata. E alla mia età mi piaccio molto più che in passato: non ho più paura dei miei limiti e ho imparato ad accettare le mie imperfezioni».

Vuol dire che ha realizzato tutti i suoi sogni?

«No, per carità, guai a non avere più sogni! L’importante è che, se non realizzati, non diventino motivo di frustrazione. Tra i miei sogni, ad esempio, c’è il cinema, ma non mi dispererò se non riuscirò a farlo».

In questa sua vita felice quale spazio occupa la fede?

«È una compagna di vita, un bel cammino che fai giorno per giorno. Credo, dunque sono».

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