venerdì 22 novembre 2013
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Cinquant’anni moriva lo scrittore britannico Clive Staples Lewis (1898-1963). Quel giorno, il 22 novembre del 1963, i media erano troppo impegnati a seguire l’assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy per cui gli fu riservato poco più di uno stringato necrologio. Eppure stiamo parlando di un uomo che ancora in vita aveva già firmato best seller internazionali. Da Le Lettere di Berlicche diventato un autentico classico cristiano di tutti i tempi a Le Cronache di Narnia una saga che ha venduto 100 milioni di copie nel mondo e ha incantato generazioni di bambini. Nel giorno del cinquantesimo anniversario della sua morte Londra gli ha reso omaggio riservandogli un posto d’onore nell'abbazia di Westminster. Una targa in pietra è stata scoperta nel leggendario Poets' Corner, il mitico «angolo dei poeti» di Westminster, accanto ai monumenti e alle tombe dei grandi della letteratura inglese da William Shakespeare a John Keats da Charles Dickens a T.S. Eliot. Alla cerimonia nell’abbazia sono arrivate circa mille persone tra cui Douglas Gresham, nipote di Lewis. L’orazione ufficiale è stata tenuta dal teologo Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, estimatore del celebre scrittore al quale l'anno scorso ha dedicato un saggio. Williams ha spiegato quanto Lewis mostri «chiaramente» la sua fede cristiana nei suoi libri. E difatti sul memoriale in pietra è stata riportata una citazione di una sua conferenza tenuta nel 1944 all'Oxford Socratic Club: «Io credo nel cristianesimo come credo che il sole è sorto. Non solo perchè lo vedo, ma perchè da esso vedo tutto il resto». E dire che la conversione al Cristianesimo non fu affatto scontata. Nato protestante nella pur cattolicissima Irlanda, Lewis aveva voltato le spalle a Dio in seguito alla morte della madre. Molto influì anche il suo razionalismo cieco che snobbava la fede rinchiudendolo nell’orgoglio «la madre luciferina di tutti i peccati» dirà un giorno. Fatale però gli fu l’amicizia con il cattolico J.R.R. Tolkien (1892-1973) suo collega nella prestigiosa università di Oxford. Con lui condivideva una passione smisurata per lo studio delle letterature e delle mitologie. Fu in una delle accorate e lunghissime conversazioni con lui in una notte del 1929 che Lewis si arrese. Tolkien lo affascinò spiegandogli che duemila anni fa uno di quei miti era diventato un fatto documentabile e incontrabile. E lui una settimana dopo poteva definirsi: «Il convertito più riluttante della storia». Non dimenticava infatti i lunghi anni trascorsi nell’incredulità: «Negavo l’esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva». Con Tolkien condivise anche l’idea che per parlare dell’uomo e del suo rapporto con il Mistero il linguaggio allegorico fosse davvero incisivo. Ecco allora spiegato il fascino dei personaggi che popolano le Cronache di Narnia e di riflesso la curiosità per la vicenda umana del suo creatore a cui qualche anno fa è stato dedicato anche un film, il commovente Viaggio in Inghilterra, sugli ultimi anni di vita dello scrittore, e diversi saggi, come quello di Edoardo Rialti: Un’infinita sorpresa (Cantagalli). Amato anche dal papa emerito Benedetto XVI, C.S.Lewis figura ormai tra i grandi apologeti cristiani. Da uno dei suoi maestri, quel genio di G.K. Chesterton, aveva capito che il segreto del cristianesimo è la gioia. E infatti Lewis dirà: «Comincio a sospettare che il mondo si divida non solo in felici e infelici, ma in chi ama la felicità e in chi, per quanto strano possa sembrare, non la ama affatto». «Ci accontentiamo troppo facilmente» spiegò poi. «In realtà — continua Lewis — se consideriamo le audaci promesse di ricompensa e la sconcertante natura delle ricompense promesse dai Vangeli, sembrerebbe che Nostro Signore reputi i nostri desideri non troppo forti, ma troppo deboli. Siamo creature superficiali che giocano con l’alcol, il sesso e l’ambizione quando ci viene offerta una gioia infinita, come un bambino ignorante che vuole continuare a fare formine di sabbia in un vicolo perché non immagina nemmeno cosa sia la prospettiva di una vacanza al mare». (L’onere della gloria, Lindau).
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