giovedì 9 febbraio 2012
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​Se vuol essere esauriente, qualsiasi riflessione o dialogo su Gesù di Nazaret non può evitare la sconvolgente "pretesa" dell’annuncio della sua risurrezione. Dalla mattina di Pasqua, infatti, una catena ininterrotta di testimoni ha consegnato alla storia l’annuncio di Gesù Risorto, primizia della risurrezione dai morti. Tutto il cristianesimo sta o cade sulla verità di tale pretesa e sulla decisione rispetto ad essa. Infatti annunciare Gesù Risorto è annunciare Gesù come contemporaneo, cioè, la possibilità di incontrarlo e di seguirlo qui ed ora. In una parola, di essere da lui salvati oggi. Lo aveva già visto Sören Kierkegaard quando scrisse: «L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza (così anche con Cristo) è la contemporaneità. Rapportarsi a un defunto è un rapporto estetico: la sua vita ha perduto il pungolo, non giudica la mia vita, mi permette di ammirarlo… e mi lascia anche vivere in tutt’altre categorie: non mi costringe a giudicare in senso definitivo» (Diario). È evidente, allora, che sulla risurrezione si gioca l’esperienza credente di ogni cristiano. Questo spiega perché sia la proposta metodologica, sia lo sviluppo dei contenuti dell’opera che Joseph Ratzinger – Benedetto XVI dedica a Gesù di Nazaret trovino il loro adeguato orizzonte nella considerazione della risurrezione del Signore. Il capitolo 9 del secondo volume  La risurrezione di Gesù dalla morte – con le sue Prospettive – «È salito al cielo. Siede alla destra di Dio Padre e di nuovo verrà nella gloria» – rappresenta il fulcro della ricerca ratzingeriana e, nello stesso tempo, il fattore decisivo per cogliere la contemporaneità dell’evento Gesù Cristo all’uomo di ogni tempo e luogo. Rispetto all’annuncio di «Gesù nostro contemporaneo», noi ci troviamo allo stesso crocevia in cui si trovarono gli apostoli. La morte in croce di Gesù, infatti, provocò lo scandalo nei suoi. E non poteva non provocarlo, poiché nessuno aveva mai parlato di un Messia crocefisso: «In un primo momento, la fine di Gesù sulla croce era stata semplicemente un fatto irrazionale, che metteva in questione tutto il suo annuncio e l’intera sua figura» (Gesù di Nazaret II, 227). Per noi oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, è consuetudine riferirci al «Carme del servo sofferente» di Isaia (Is 53) o ai Salmi «della Passione» come ad anticipazioni o prefigurazioni della morte del Messia. Ma l’enigmatica figura del servo sofferente non era mai stata concepita come messianica. Non era infatti una figura regale. E come c’entravano, almeno a prima vista, i lamenti del salmista nei Salmi 22 o 69 col Messia figlio di Davide? Si impone, a questo punto, una domanda: come sono arrivati i discepoli a cogliere nel Crocifisso il compimento delle promesse messianiche? Come mai Pietro ha potuto concludere il suo discorso la mattina di Pentecoste, affermando: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36)? È stato un avvenimento clamoroso e del tutto sorprendente, la risurrezione di Gesù, del Crocifisso apparso a loro vivo – proprio lui, come indica il sepolcro vuoto –, a condurre la loro ragione a "capire" ciò che era già contenuto nelle Scritture: «Non sono state le parole della Scrittura a suscitare il racconto dei fatti, ma i fatti in un primo tempo incomprensibili hanno condotto ad una nuova comprensione della Scrittura» (Gesù di Nazaret II, 228). La stessa dinamica – e in questo si vede la genialità metodologica della proposta del Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger – è rintracciabile in ogni istante della storia del cristianesimo. Infatti, scrive il nostro autore: «Il processo del divenire credenti si sviluppa in modo analogo a quanto è avvenuto nei confronti della croce. Nessuno aveva pensato ad un Messia crocifisso. Ora il "fatto" era lì, e in base a tale fatto occorreva leggere la Scrittura in modo nuovo… La nuova lettura della Scrittura, ovviamente, poteva cominciare soltanto dopo la risurrezione, perché solo in virtù di essa Gesù era stato accreditato come inviato di Dio» (Gesù di Nazaret II, 273). Il cammino che porta oggi alla confessione di fede nel Risorto è lo stesso che dovettero percorrere i primi. L’episodio di Emmaus ne descrive paradigmaticamente la dinamica: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32). Tutte le cose cui Gesù faceva riferimento erano già presenti nelle Scritture, ma essi non se ne erano resi conto. Infatti, Gesù "rimprovera" la loro incapacità di ragionare: «Sciocchi e tardi di cuore [lenti nel ragionare] nel credere alla parola dei profeti!» (Lc 24,25). L’episodio di Emmaus ci inoltra nel cammino della fede: «Lo riconobbero allo spezzare del pane» (cfr Lc 24,30-31). L’Eucaristia – che non si dice in modo compiuto se non si arriva ad affermare la sua res, cioè l’unità del popolo di Dio, della Chiesa – è il luogo proprio dell’interpretazione delle Scritture, cioè, dell’accesso al Gesù reale. Nell’Eucaristia il Risorto si rende contemporaneo alla libertà di ogni uomo e lo urge a dar "forma eucaristica" a tutta la sua esistenza.
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