venerdì 28 agosto 2009
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Difendere i cristiani perseguitati. Laicamente, «da umanista, in nome del dialogo tra le religioni e le civiltà». René Guitton ha fatto di tutto ciò un punto di onore del proprio impegno professionale e culturale. Già corrispondente di France 2 dal Marocco, Guitton ha intrapreso la carriera di editore che l’ha portato ad essere direttore generale delle edizioni Hachette. Oggi lavora alle Éditions Calmann-Lévy; è membro del gruppo di esperti dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite. Già autore di un libro sulla strage dei monaci di Tibhirine in Algeria (Si nous nous taisons, Calmann-Lévy), Guitton è ora nelle librerie francesi con un saggio-inchiesta sui cristiani perseguitati nel mondo: Ces chrétiens qu’on assassine (Flammarion, pp. 334, euro 21). Per tale opera – applaudita da Le Figaro, Le Monde des Religions e diversi media transalpini – ha appena ricevuto il Premio letterario dei diritti dell’uomo, giunto alla sua 26° edizione. Dopo i suoi viaggi nei Paesi dove più regna la «cristianofobia», come spiega questa avversione verso i cristiani?«È un fatto che varia da Paese a Paese. Nel Nord Africa, ad esempio, è legata alla colonizzazione, un fenomeno finito solo una cinquantina di anni fa. E in certi contesti questa dipendenza non è ancora terminata. Infatti esiste ancora la generazione di autoctoni che hanno vissuto come colonizzati dei francesi, degli italiani… Per cui i cristiani che abitano in quegli Stati, siano essi locali o stranieri, vengono identificati come i colonizzatori di un tempo. Tanto che in un Paese come l’Algeria gli occidentali vengono definiti "nazareni". In Medio Oriente persiste il retaggio delle Crociate, rinverditosi con la guerra in Iraq. Non va poi dimenticato come l’11 settembre sia stato considerato in Oriente una vittoria contro l’Occidente cristiano. Questo è successo anche nell’Oriente non musulmano, ad esempio in India o in Sri Lanka, ovvero in contesti di religioni "pacifiche" come induismo e buddismo. Insomma, il cristiano viene dipinto come un occidentale e per questo motivo additato come nemico. Quando invece – basti guardare al caso dell’Algeria – i cristiani locali, tra gli abitanti della Kabilia, per esempio, risiedono lì da prima dell’invasione arabo-musulmana». Sembra però che la persecuzione "globale" contro i cristiani non sia diventata una questione di politica internazionale come dovrebbe essere …«Sì, è vero, e questo avviene sia a livello di singoli Paesi che sul piano internazionale. È difficile intervenire nei Paesi dove i cristiani vengono perseguitati perché sono cittadini di quello Stato. Questo significherebbe interferire negli affari interni di un Paese, ad esempio in Iraq o Egitto. Come possono intervenire lì Paesi come la Francia o l’Italia? Qualche politico inizia a far presente il problema, come ad esempio il cancelliere tedesco Angela Merkel nella sua recente visita in Algeria. La questione da qualche anno inizia a porsi: certo, su questo tema servirebbe un’alleanza europea. Ma il problema è che non deve essere l’Occidente in quanto tale a difendere i cristiani, altrimenti si incoraggia la divisione tra cristiani e non cristiani». Ovvero, c’è bisogno di una difesa dei cristiani più "laica"?«Esatto. Quello che ho cercato di fare con il mio libro è mettermi in un atteggiamento di apertura e laicità. Io, cattolico, denuncio le persecuzioni contro i cristiani per migliorare la loro condizione e per far sì che i rispettivi governi lavorino per difendere queste minoranze. Non voglio fare una crociata a favore dei cristiani oppressi, ma ricordare le situazioni di sofferenza in cui si trovano e soprattutto il silenzio che li avvolge». In quali contesti nota dei miglioramenti per i cristiani osteggiati nella loro pratica di fede?«Ho partecipato a diversi colloqui interreligiosi in Qatar. Nella penisola araba si stanno aprendo delle chiese: ciò è avvenuto in Kuwait, Qatar e ad Abu Dhabi. Qui la situazione è in evoluzione grazie all’immigrazione asiatica: indiani, indonesiani, srilankesi rappresentano il proletariato dei Paesi del petrolio e i governanti locali hanno capito che è meglio costruire delle chiese per i cristiani di queste etnie, certamente in maniera discreta. Ma questo è già un inizio. Anche in Turchia, dove la religione viene ancora menzionata sulla carta d’identità (fatto che genera discriminazioni sul posto di lavoro), le cose stanno cambiando: per l’anno prossimo il governo ha indetto un anno dedicato alla cultura europea». Lei è impegnato nell’Alleanza per le civiltà delle Nazioni Unite. Cosa sta facendo l’Onu per i cristiani perseguitati?«Ho preparato un rapporto per l’alto rappresentante dell’Alleanza, l’ex presidente del Portogallo Jorge Sampaio, basandomi sul mio libro. A settembre invierò il documento all’Onu. Certo, al Palazzo di Vetro le cose procedono con calma, la questione dei cristiani perseguitati è una vicenda nuova e delicata, e sfortunatamente ci sono tante crisi urgenti (fame, guerre…) da affrontare. Ma sono convinto che siamo all’inizio di una presa di coscienza internazionale riguardo alle persecuzioni che colpiscono i cristiani».
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