domenica 21 gennaio 2018
La differenza fondamentale è tra chi è solo operativo e chi fa sentire il cliente a suo agio. E servono preparazione culturale, aggiornamento sulle proposte editoriali, dimestichezza con l’informatica
Librai oltre la crisi: il futuro è anche una questione di empatia
COMMENTA E CONDIVIDI

È evidente che alcuni aspetti del rapporto tra il libraio e il cliente sono difficilmente uniformabili, data l’enorme varietà di situazioni, di motivazioni, di stili, di bisogni, di interessi e di differenze individuali che conducono oggigiorno una persona ad entrare in una libreria anziché mettersi alla tastiera del computer per ordinare un libro. Eppure, anche se viviamo in un’epoca sempre più telematica, i clienti continuano ad entrare nelle librerie; io non mi occuperò del perché questo accade, mentre cercherò di esplorare e descrivere alcuni elementi comuni riguardo a cosa accade quando il cliente e il libraio vengono a contatto, aldilà dell’evidenza conscia delle technicalities (scambio di informazioni ed eventuale acquisto o meno) che seguono la richiesta iniziale.

Devo comunque partire da un dato macroscopico: esistono clienti abituali, sufficientemente fidelizzati, e clienti del tutto o quasi occasionali. Questa differenza è importante, perché i primi si muovono in un ambiente che conoscono, con cui hanno una certa familiarità (sanno ad esempio dove si trovano le varie aree tematiche, si rivolgono al libraio contando su un reciproco riconoscimento personale) e si sentono abbastanza '" casa loro"; spesso hanno già in mente qualche titolo o comunque sono facilitati proprio da questa relativa familiarità nel porre domande utili al soddisfacimento delle loro richieste.

Anche i clienti abituali che non hanno ben chiaro cosa cercano, o che magari non cercano proprio niente di preciso ma entrano per il piacere di muoversi nel plancton culturale offerto dalla libreria, lo fanno di solito in modo abbastanza rilassato, con animo curioso e non particolarmente intimorito dal tipo di negozio o dal suo gestore. Il cliente occasionale, invece, è più esposto al vissuto di "noncasa": aldilà di ogni ragionevole riflessione, il presunto gap culturale tra sé e l’enorme numero di volumi presenti nel negozio riattiva spesso un vissuto regressivo infantile di inadeguatezza, e la non conoscenza personale col libraio (che certamente durante la sua giornata di lavoro non è impegnato a soppesare criticamente il livello di formazione del cliente, salvo casi molto particolari) crea ostacoli e imbarazzi nella formulazione della richiesta: per dirla alla maniera dei nostri nonni, certi clienti entrano in libreria sentendosi "come un cane in chiesa".

In un bell’articolo di qualche mese fa su "Repubblica", Stefano Bartezzaghi invitava a non proiettare sul libraio un cliché duro a morire, l’«...immagine romantica del libraio circonfuso di abnegazione, soccorrevole come un parroco, che agita il libro come un crocifisso laico...»; o – dico io, che amo i cani – come un San Bernardo con salvifica botticella, o più prosaicamente come un terapeuta che adocchia il cliente in difficoltà e si dispone a salvarlo dal suo marasma regressivo in un ambiente ignoto e per lui potenzialmente intimorente.

Non è questo il compito del libraio, d’accordo; cionondimeno la percezione da parte sua del «vissuto di dislivello e di inadeguatezza» (vero o presunto) che pervade certi clienti in tali circostanze, può essere preziosa per stabilire un contatto, che quasi certamente farà funzionare meglio il cliente nella formulazione di una richiesta più o meno compiuta e comprensibile, e di conseguenza più lavorabile. Insomma, è utile tenere presente che psicologicamente parlando il libraio «gioca in casa », mentre il cliente occasionale è come una squadra in trasferta: in certi casi si muoverà con piena competenza e senza alcun timore anche in uno stadio non noto (pensiamo al professore universitario in viaggio che cerca un testo ben preciso pertinente alla sua materia di insegnamento), ma in altri casi no.

Da profano che frequenta parecchio le librerie, penso che una delle occorrenze più problematiche riguardi l’assistenza al cliente in difficoltà che vuole fare un regalo ma ha le idee vaghe e confuse sui possibili interessi del destinatario: mi è capitato di assistere ad estenuanti sforzi maieutici da parte del libraio che – proprio come una levatrice – cercava pazientemente di individuare un profilo plausibile del ricevente, in maniera da orientare il cliente incerto e sub-confuso verso un acquisto sensato. Siamo qui agli antipodi della richiesta tecnica precisa, per la quale si tratta invece di vedere se il volume è in dotazione o se bisogna ordinarlo e in quanto tempo arriverà: scambio psicologico alla pari tra due adulti, in quest’ultimo caso, in cui non sono in ballo né timori regressivi né nebbie o vischiosità mentali, ma solo dati di realtà.

In conclusione: preparazione culturale, aggiornamento sulle proposte editoriali, dimestichezza con l’informatica, la logistica e le funzioni organizzative, oltre alle capacità sociali di base, sono tutti requisiti indispensabili per funzionare adeguatamente in questa professione; ma la capacità di allestire una certa disposizione interna al contatto emotivo con il cliente, soprattutto per quanto riguarda le sue potenziali difficoltà nel chiedere aiuto e nel formulare la richiesta (che a volte è ancora in statu nascendi) può marcare la differenza tra un libraio semplicemente operativo ed uno che fa sentire a suo agio il cliente nel “lavorare insieme” interpsichicamente: in modo fruttuoso, aprendo nuovi spazi e nuovi pensieri, generando così anche il desiderio di tornare.

Anticipiamo qui l'intervento cheStefano Bolognini terrà al Seminario di perfezionamento della Scuola per Librai "Umberto ed Elisabetta Mauri" in programma da domani al 26 gennaio a Venezia presso la Fondazionie Giorgio Cini.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: