venerdì 12 gennaio 2024
Nuova edizione per le novelle dello scrittore: una realtà sociale cinica e desolata, un disagio particolarmente sentito dalle nuove generazioni nel doloroso passaggio dall’adolescenza all’età adulta
Federigo Tozzi (1883-1920)

Federigo Tozzi (1883-1920) - elaborazione grafica di Massimo Dezzani

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Non è ancora stata realizzata, sebbene da tempo auspicata dagli studiosi, un’edizione critica del corpus novellistico di Federigo Tozzi (1883-1920), ma fortunatamente non mancano le edizioni che rendono disponibili le novelle dello scrittore senese al pubblico dei lettori. L’ultima arrivata nelle librerie è quella della raccolta Giovani, pubblicata da Quodlibet per la cura di Giancarlo Bertoncini, che firma una densa postfazione (pagine 224, euro 16,00). L’opera, stampata per la prima volta da Treves nell’estate del 1920, era stata allestita dall’autore, che però non fece in tempo a rivedere le bozze, in quanto nel marzo di quello stesso anno era venuto a mancare per una polmonite.

Giovani comprende ventuno novelle composte nel periodo romano, vale a dire tra il 1913-1914 (al ‘14 data il trasferimento di Tozzi nella capitale) e il 1919. Testi si collocano dunque nella fase della maturità tozziana, tra i romanzi Il podere (scritto nel 1918, poi pubblicato nel 1921) e Tre croci (anch’esso del 1918 ed edito nel 1920), che con il romanzo giovanile Con gli occhi chiusi (scritto nel 1912-1913 ma uscito nel 1919) formano un ideale trittico. Anche in questi racconti, come nei romanzi, Tozzi mette in scena una realtà triste e desolata, un disagio sentito in modo particolarmente acuto proprio dai giovani che danno il titolo alla raccolta, nel doloroso passaggio dai sogni dell’adolescenza all’inevitabile contatto con una realtà sociale cinica e meschina.

Non c’è, insomma, alcuna esaltazione della giovinezza, quale era presente nelle avanguardie primonovecentesche (a partire dal Futurismo). Tozzi vede invece la giovinezza come una sorta di malattia dell’anima. Nel terzo racconto della silloge, “Pittori”, un personaggio esprime un desiderio (che intuisce però essere impossibile a realizzarsi) e subito dopo rivolge a un amico una domanda emblematica: « Io vorrei che ogni giorno vissuto restasse a mia disposizione; e mi fosse possibile essere sempre giovine conservando tutto ciò che ho fatto. Non senti che la nostra giovinezza è una specie di malattia, che non ci lascia il tempo di guarire?».

In vari racconti Tozzi descrive un mondo provinciale chiuso, in cui gli antichi valori contadini confliggono con quelli della piccola borghesia cittadina e si soffre per miseri interessi e inconfessabili passioni. Accanto a questi temi, che inizialmente furono letti dai critici come eredità del Verismo, emerge tuttavia il disagio e il fallimento esistenziale dei personaggi, nei quali è possibile cogliere i sintomi di quello stesso senso di inettitudine e smarrimento che nel medesimo periodo, da altre prospettive, viene enucleato nelle opere di Svevo e Pirandello. Il racconto significativamente intitolato “L’ombra della giovinezza” mette in scena l’egoismo di un uomo che costringe il fratello, per ragioni di interesse, a rinunciare alla donna che ama. In “Una sbornia” ciò che indica il titolo è l’unica soluzione che trova un uomo di mezza età il quale, dopo essersi finalmente deciso a sposarsi, apprende che la donna a cui aveva pensato di chiedere la mano nel frattempo è morta.

I protagonisti sono spesso dei derelitti, come i tisici di “Pittori” o la maestrina (personaggio tipico di molta narrativa italiana di stampo realista tra Otto e Novecento) di “Un’osteria”. Ma per Tozzi le creature apparentemente più abiette sono le più vicine a Dio: ciò vale per la giovane del “Crocifisso”, per le prostitute di “Creature vili”, per la «matta» dell’omonimo racconto. La vera colpa è semmai l’incapacità di superare egoismi e rancori, come vediamo bene in “Pigionali”. Pur essendosi formato al di fuori delle correnti letterarie più vitali del tempo (in particolare lontano dal movimento della “Voce”) e su letture varie e disordinate, che dagli antichi autori senesi (studiati e pubblicati dallo scrittore in un’antologia nel 1913) giungono fino a Verga, Dostoevskij e D’Annunzio, Tozzi è stato tra i primi narratori della sua generazione ad avvertire la necessità di uscire da quel «dilettantismo di sensazioni» (parafrasando l’espressione utilizzata da Croce a proposito di D’Annunzio) tipico dell’estetismo decadente, per svolgere invece una più profonda opera di indagine psicologica, scavando nella propria coscienza e interrogandosi sul senso della realtà.

Come dimostra il lavoro filologico sulle varianti autografe di cui dà conto Bertoncini (che si è potuto giovare del riferimento alla lezione originale dei testi conservati presso l’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” di Firenze), portando progressivamente a maturazione il proprio stile narrativo, Tozzi tende a trasporre un istintivo impressionismo lirico, per molti aspetti (questo sì) vicino al frammentismo vociano, nelle forme oggettive di una più robusta narrazione, basata su vicende, per lo più interiori, e personaggi spesso di origine autobiografica, come testimonia la centralità dei temi dell’amicizia e dell’inquietudine spirituale presenti nei racconti di Giovani come nella vicenda personale dell’autore.

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