venerdì 2 aprile 2021
Perfino Newton credeva all'alchimia: un saggio di Ciardi svela i meccanismi attraverso i quali le pseudoscienze si insinuano nel "sapere" comune. Per contrastarle, bisogna informare meglio
Alchimisti al lavoro ad un alambicco di distillazione, illustrazione xilografica da "De Secretis naturae" di Philip Ulstadt, 1544. Roma, Biblioteca Laurenziana

Alchimisti al lavoro ad un alambicco di distillazione, illustrazione xilografica da "De Secretis naturae" di Philip Ulstadt, 1544. Roma, Biblioteca Laurenziana - Fototeca storica nazionale

COMMENTA E CONDIVIDI

Con la mentalità di oggi sembra strano che un tempo siano potute accadere certe cose. E invece Isaac Newton, tanto per fare un illustre esempio, studiò a fondo l’alchimia mentre Galilei si dilettava a compilare oroscopi non certo perché credeva nell’astrologia ma solamente per far quattrini alle spalle dei creduloni. Ho citato l’alchimia e l’astrologia perché sono sicuramente le più famose delle cosiddette pseudoscienze, vale a dire quelle discipline che vorrebbero vestirsi di scientificità quando invece i loro fondamenti non hanno nulla di scientifico. Eppure queste pseudoscienze hanno giocato un ruolo importante nella storia del pensiero e ad esse è dedicato l'agile volumetto di Marco Ciardi, docente di Storia della scienza e delle tecniche all’Università di Bologna (Breve storia delle pseudoscienze; Hoepli, pagine 166, euro 14,90), con il quale l’autore si propone non solo di offrire un semplice catalogo, ma di andare alla ricerca delle cause che trasformarono un sapere di “riconosciuta affidabilità” in pseudoscienza, vale a dire, come spiega Ciardi, in un «qualcosa che assomiglia alla scienza, nella forma e nei contenuti, ma non risponde più ai requisiti in base ai quali gli scienziati distinguono fra un risultato plausibile e uno improbabile, se non addirittura volutamente artefatto».

Che queste pseudoscienze abbiano avuto non poche ripercussioni nella vita di tutti i giorni lo dimostra il caso del “mesmerismo”, una disciplina che prende il nome dal medico tedesco Franz Anton Mesmer più conosciuta come “magnetismo animale”. Convinto che la salute del corpo fosse causata dall’attraversamento armonico di un fluido magnetico, il medico curava i suoi pazienti applicando sulla pelle delle calamite. Niente di scientifico, ovviamente, eppure la gente ci credeva e a riprova della popolarità raggiunta da questo rimedio va ricordato che nel primo atto del Così fan tutte di Mozart una donna travestita da medico guarisce due amanti usando una enorme calamita. Ma al di là della catalogazione delle pseudoscienze l’autore in più punti pone l’accento su un problema molto importante e cioè «l’incapacità da parte di scienziati, politici e mezzi d’informazione di spiegare che cosa è la scienza, i principi su cui si basa, i meccanismi del suo funzionamento».

Si veicolano tante nozioni senza però offrire la cosa più importante, vale a dire gli strumenti critici per leggere le notizie. E sul banco degli imputati finisce inevitabilmente la scuola dove, tranne rari casi, la scienza viene raccontata come una serie di nozioni da mandare a memoria. E ce n’è anche per i giornalisti che spesso parlano di scienza senza avere un’idea chiara di ciò di cui stanno parlando. Leo Longanesi aveva già fiutato il pericolo di una informazione superficiale e il suo famoso aforisma «un bravo giornalista sa raccontar bene le cose che non sa» nascondeva una profonda verità. Di sicuro può passare per scoop la notizia che Newton studiava l’alchimia, ma il tutto va inquadrato in un contesto storico che un bravo divulgatore deve conoscere. Altrimenti, per restare in tema con questo saggio, si corre il rischio di fare della pseudoinformazione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI