sabato 31 marzo 2012
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Fare largo al primato della diversità, con la consapevolezza che il dialogo si fonda sulla ricerca e sulla contaminazione, senza pregiudizi e in uno spazio pubblico. Il Cortile dei gentili a Palermo sul tema “Cultura della legalità e società multireligiosa” permette di compiere un passo avanti nel lungo cammino di confronto avviato dal Pontificio Consiglio della Cultura. In collaborazione con l’arcidiocesi e l’Università di Palermo e l’Ucid, la manifestazione ha radunato allo Steri studiosi credenti e non credenti per un dibattito franco e costruttivo. L’età dei diritti umani deve fare i conti con l’incommensurabilità dei valori e delle culture in un’epoca di pluralismo e multiculturalismo. «Perché funzioni un dialogo autentico tra il sistema dei diritti umani e quello delle religioni, ciascuno dovrebbe fare un passo indietro», osserva Francesco D’Agostino, giurista e presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica. «Il passo indietro del sistema dei diritti umani – spiega in un confronto diretto con Gian Enrico Rusconi – sarebbe quello di togliersi di dosso il marchio geopolitico di carattere occidentalizzante. Bisogna riscoprire il duale, altrimenti il sistema dei diritti umani resterà occidentale. Il passo indietro delle religioni, invece, dovrebbe essere quello di liberarsi dal loro carattere in cui Dio è inteso sovrano unico e insindacabile». D’Agostino apre anche il panorama di come le religioni vengono viste da un occhio esterno: «C’è l’idea molto diffusa che l’islam e tutte le religioni sono pericolose, perché creano potenzialmente conflitto. I diritti umani, invece, sono freddi rispetto al calore specifico delle religioni. Ma gli individui non creano la loro identità sui parametri dei diritti umani, bensì in gran parte sulla religione. È vero, le religioni sono conflittuali, ma creano identità. Deve esserci una sinergia tra il paradigma dei diritti umani e il paradigma delle religioni». Provocatorio e duro l’intervento di Gian Enrico Rusconi, emerito di Scienze politiche all’Università di Torino, che rifiuta il termine di “non credente” e attacca il concetto di “non negoziabilità dei valori”: «Per il credente la religione è parte costitutiva della sua vita e dei diritti. Per il laico invece prescinde da ogni riferimento a Dio. Etsi Deus non daretur è un postulato di ordine etico, è la rivendicazione di autonomia dell’uomo da un Dio che si astiene dal parlare» e critica il caso in cui «la formula “non negoziabilità dei valori” da galvanizzante strategia comunicativa diventa criterio politico generale. Nessuno nega al cattolico il diritto di comportarsi come tale pubblicamente, ma davanti a norme che riguardano tutti i cittadini la sua rivendicazione di questa posizione pregiudica il diritto di altri cittadini». Tanti gli interrogativi posti sul tema della giustizia umana e del diritto divino dai relatori Nando Dalla Chiesa, sociologo all’Università di Milano, e da Remi Brague, docente di Filosofia medievale alla Sorbona, soprattutto alla luce dei tempi e delle modalità della giustizia, tanto da fare affermare a Dalla Chiesa che «nel dibattito pubblico sta maturando qualcosa che anela a fissare più in là l’orizzonte della giustizia terrena». Ma è il tema delle condizioni per il dialogo interreligioso a infervorare il dibattito pomeridiano. Dopo un quadro storico esposto dagli studiosi francesi Henri Bresc e Francois Bousquet, diventa centrale il concetto di spazio pubblico in cui esprimere il dialogo. «Il dialogo – riflette Franco Viola, docente di Filosofia del diritto all’Università di Palermo – non è solo coesistenza pacifica tra le religioni, ma è fondamentale il mutuo apprendimento. Le nuove identità che arrivano in Europa non sono solo sfida cognitiva, ma esistenziale». Un tema su cui Ugo Perone, emerito dell’Università del Piemonte orientale, lancia una provocazione: «Lo spazio pubblico, il politico, non esiste, è un’invenzione dell’umanità attraverso cui abbiamo tentato di avere uno sguardo sulla vita organizzata. Il politico non è la sfera suprema: è importantissima, ma bisogna riconoscere un ruolo alla religione, alla bellezza, all’arte, alla corporeità, che eccedono la politica e interrompono la sua pretesa di essere onnicomprensiva. Il dialogo non è un problema politico di mediazione, ma tocca una sfera più ampia e dire tutto se stessi, pensando che possiamo tranquillamente bisticciare». E il presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Giuliano Amato, si lancia: «Lo spazio pubblico non è quello della politica. Nella democrazia non bisogna travestire da questioni ultime le questione penultime e alimentare il clima di intolleranza. Il peggior nemico è quel multiculturalismo che ammette tutto e non ha aria di intolleranza. Questo diventa nemico del dialogo, perché non ci sarà mai possibilità di contaminarsi utilmente a vicenda».
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