sabato 18 febbraio 2012
Da oggi in libreria una raccolta di scritti del cardinale Martini sulla visione cristiana e il compito educativa del nucleo familiare.
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Una raccolta di scritti sulla famiglia, i suoi problemi e le sue immense prospettive. Redatti nei venti anni in cui il cardinale Carlo Maria Martini (foto sopra), esercitando la funzione di pastore sulla cattedra di Sant’Ambrogio, ha potuto incontrare e conoscere la varietà di situazioni familiari esistenti in una grande città come Milano. «Famiglie in esilio. Ferite, ritrovate, riconciliate» (San Paolo, 168 pagine, euro 16, in libreria da oggi), pur presentando la realtà in tutte le sue sfaccettature, spesso devastate e poco lusinghiere, è soprattutto un libro di speranza. Affronta una per una tutte le evidenze pastorali, dalla disgregazione familiare e morale, all’educazione dei figli, alla necessità di ripercorrere le perdute strade dell’amore per tentare di ricostruire l’unità perduta. Perché – come fa notare Giuliano Vigini nella Prefazione al volume, di cui anticipiamo alcuni stralci – non bisogna mai cedere alla tentazione che tutto sia perduto.

Per esser stato oltre vent’anni (1980-2002) il pastore di una grande città come Milano, e di un’ancor più grande diocesi, il cardi­nale Carlo Maria Martini ha avuto nu­merose occasioni di contatto diretto con persone e famiglie, in ambienti diversi. E certo, incontrandole e ascol­tandole, ha potuto decifrare la com­plessità delle situazioni in cui la gente vive, nel contesto di una società muta­ta nella coscienza degli ideali, dei va­lori e delle responsabilità, sia indivi­duali che pubbliche, e di riflesso an­che nella mentalità, nei comporta­menti e negli stili di vita.Non soltanto dunque la polis è cambiata per effetto del groviglio di problemi connessi al­l’economia e al lavoro, ma soprattutto in relazione al decadimento etico, alla crisi di credibilità e, di conseguenza, alla svalutazione delle istituzioni, alla sfiducia e al distacco dei cittadini dalla politica, ai conflitti tra generazioni; è cambiata perché ha elaborato una di­versa concezione di sé e del mondo, trovando (o credendo di trovare) mo­delli e punti di riferimento più conso­ni rispetto al passato per un’afferma­zione nuova di libertà individuali e di giustizia sociale. Anche la famiglia è ri­masta profondamente scossa in tutto questo rivolgimento di idee, costumi e prospettive, che non sembrano peral­tro aver rinsaldato la realtà etica e spi­rituale della polis, nella consapevolez­za dell’appartenenza dei singoli alla città degli uomini, come cittadini che agiscono in concordia per il bene co­mune. Certo la famiglia italiana ha re­sistito meglio di altre all’onda d’urto che rischiava di lederne irreparabil­mente le fondamenta come istituzio­ne cardine della convivenza sociale, ma indubbiamente anch’essa ha ri­sentito di un equilibrio generale che in parte si è spezzato, in parte si è ap­pannato e impoverito. Si è spezzato, generando instabilità e precarietà, per il consistente e costante aumento del­le separazioni e dei divorzi, la diminu­zione della durata media dei matri­moni, il moltiplicarsi delle coppie di fatto e dei figli nati fuori del matrimo­nio, con scelte determinate da atti di volontà «libera e libertaria», non vin­colanti come impegni e responsabilità e potenzialmente quindi anche prov­visori, pur in presenza di richieste di legittimità, tutela e riconoscimento sociale equiparabili a quelle della fa­miglia naturale. Si è appannato e im­poverito, perché la famiglia, diventata psicologicamente e affettivamente più fragile nelle relazioni di coppia, si è ri­trovata meno sicura e più sola. Proble­mi che si sono aggravati per le diffi­coltà economiche, ma anche per lo stress determinato da un ambiente ur­bano e da un’organizzazione sociale che ne ha accentuato la debolezza e accelerato il disagio. Il problema pa­storale, di fronte a una situazione fa- miliare così problematica, emerge quindi con evidenza. Anche nei me­glio disposti e perseveranti si è insi­nuata la sensazione di essere impo­tenti e inutili, e la tentazione della ri­nuncia e dell’abbandono, per l’impos­sibilità percepita di non riuscire più a sostenere il valore di una famiglia buona, onesta, unita, e consapevole in cui ognuno è parte essenziale e inte­grante del cammino di tutti. Nell’ana­lisi di Martini questa tentazione viene più volte messa in luce, per ribadire che le difficoltà crescenti dell’educare non devono condurre a una forma di paralisi o di pessimismo, ma devono rendere ancora più intenso lo sforzo di chi ha il compito pastorale delle fa­miglie, e della cura dei giovani in par­ticolare, di indicare, e testimoniare, quell’insieme di virtù, responsabilità e beni comuni che fanno crescere come persone e come membri della società. Se questo è il contesto, è evidente che educare è più difficile, pur restando sempre un compito bello e gioioso. Per la Chiesa, la fami­glia cristiana è l’àmbito in cui prende avvio la trasmissione del messaggio e dell’esperienza di fede in Gesù: mes­saggio che, vissuto all’interno del nu­cleo familiare, si dilata poi a tutta la rete dei rapporti quotidiani con gli altri. Il cardinale Martini illustra questo aspetto ri­salendo nella Bib­bia alle vicende di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, narrate nel libro della Genesi (capitoli 37-50), e le pone co­me emblema dei drammi, delle divi­sioni e degli errori che possono attra­versare, scompaginandola, la vita di u­na famiglia, di un popolo, di un’intera società. Ma il racconto di questa fami­glia è anche la rappresentazione che Dio pazientemente agisce per supera­re i risentimenti e le vendette e far tro­vare la strada di una riconciliazione che segni l’inizio di un nuovo modo di vivere insieme come fratelli.Se il pri­mo attore di questa riconciliazione è Dio, gli altri protagonisti sono in varia misura i membri stessi di questa fami­glia: Giuseppe, i suoi fratelli, il padre Giacobbe. Da qui l’insegnamento che Martini ricava dal racconto biblico: la certezza che non ci sono errori irrepa­rabili, ma esiste sempre per tutti una possibilità di ravvedimento e riscatto, in virtù della misericordia e della forza riconciliatrice dell’amore di Dio. Geni­tori e figli procedono insieme in que­sto cammino interiore, che segna an­che il loro itinerario di reciproca evangelizzazione.

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