mercoledì 2 gennaio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI

Raffaele Pagnozzi buongiorno: possiamo già chiamarla presidente?«Direi di no. Un po’ per scaramanzia e un po’ perchè non mi sento presidente nemmeno quando sono a casa mia. E pensi che vivo da solo...».Quello per la poltrona del Coni però è un duello solo teorico: Malagò parte con pochi voti e Gambino, con tutto il rispetto, pochi lo conoscono…«Vedremo a febbraio. Certo, io mi sono candidato perchè sapevo di poter contare sulla fiducia di gran parte del mondo dello sport».Quasi tutti i presidenti federali neo eletti si sono affrettati a dichiararle il proprio appoggio. Questa convergenza di consensi la tranquillizza o la responsabilizza di più?«Diciamo che mi dà soddisfazione, ma l’aspetto che mi conforta di più è il favore nei miei confronti praticamente di tutti gli enti di promozione. Significa che la casa comune dello sport in questi anni ha fatto buone cose, senza contrapposizioni. E che lo riconosca la base è davvero confortante».Tutto si può dire di lei, tranne che sia un rottamatore...«Si rottama quello che non funziona più. Con la crisi che c’è, ha del miracoloso quello che il nostro sport ha fatto e sta facendo, per cui parlare di rottamazione mi pare davvero fuori luogo».Appunto, al di là delle medaglie di Londra, come sta lo sport italiano?«Diciamo che non scoppia di salute ma regge molto bene. Da un punto di vista economico abbiamo contributi pubblici da ultimi posti in Europa ma grazie soprattutto al volontariato sportivo e all’associazionismo restiamo su livelli di eccellenza da tutti i punti di vista».Parliamo di soldi: il contributo pubblico di 411 miliardi è stato confermato anche per il 2013. Con l’aria che tira...«Il governo va ringraziato per aver garantito allo sport una vita più che dignitosa. Ciò non toglie che bisogna affrontare il tema di un meccanismo automatico del finanziamento che possa garantirci un minimo di programmazione. È impossibile farlo se le cifre si conoscono solo anno per anno».Perché alcune federazioni, come il nuoto, costano più di altre e rendono meno in termini di risultati?«Sui bilanci delle federazioni si è già fatto molto in termini di trasparenza, ma si deve fare di più. Chi vuole autonomia deve garantire una buona governance».Sponsor in fuga, club storici che falliscono, i dati Istat che parlano di consumi delle famiglie per lo sport in netto calo. Che futuro dobbiamo aspettarci?«Quello che riusciremo a meritarci. Sono convinto che noi stessi abbiamo il compito di modellare il nostro futuro. Lavorando con impegno sulla programmazione, cercando un accordo con l’agenzia delle entrate per dare certezza e tranquillità al movimento, insistendo sulla necessità di eliminare la burocrazia che oggi affligge l’opera delle associazioni sportive e del volontariato che tengono in piedi tutto il meccanismo».Lotta al doping, problema scommesse, sport per tutti, sport di vertice, scuola. Quale l’ordine di priorità nel suo programma?«È una graduatoria difficile, ma partirei dallo sport per tutti. Per una questione di prospettiva, di salute generale, ma anche di interesse economico. Una ricerca congiunta delle Università Bocconi e La Sapienza che abbiamo pubblicato nel nostro “Libro Bianco” dello sport italiano, ha dimostrato che la pratica sportiva oggi garantisce un risparmio al sistema sanitario nazionale di un miliardo e mezzo di euro l’anno. Al governo che verrà vorrei ricordare che investire sullo sport e abbassare la percentuale di sedentari (oggi il 40% delle popolazione) significherebbe un risparmio ulteriore».Parliamo di doping e scommesse...«Due temi da emergenza continua. Ma se sul fronte della lotta al doping il Coni è all’avanguardia da sempre e modello per tutti a livello mondiale, quello delle scommesse illegali legate allo sport è un fenomeno più nuovo che impone un allarme di carattere sociale. Mancano leggi internazionali per combatterlo: per questo serve massimo impegno perchè non dilaghi».Argomento scuola. È normale che lo stato investa nella pratica sportiva appena la metà di quanto incassa di sole tasse dallo sport? «Non lo è, come è assolutamente penalizzate che non ci sia mai stata una reale e profonda riforma delle norme sull’insegnamento dello sport scolastico. Servirebbero investimenti fino dalle classi elementari e strutture adeguate senza le quali fare attività degna di questo nome è illusorio. Entro un anno i plessi scolastici coperti dove praticare l’educazione fisica dovrebbero rappresentare il 30% del totale. Non è molto, ma è qualcosa...».L’agenda Petrucci prevedeva grandi sforzi sulla scuola, ma i risultati? Solo il 20% della popolazione scolastica oggi fa sport nelle ore curricolari…«Il Ministero del governo uscente aveva dimostrato una sensibilità più forte rispetto al passato, e questo è un segnale importante. L’impegno del Coni nel piano di alfabetizzazione motoria resta altissimo e lo dimostra il fatto che l’ultimo Consiglio Nazionale ha portato da 5 a 7,5 i milioni di euro stanziati per il progetto, ma da soli non possiamo fare molto». Nello sport di vertice invece la tendenza pare quella di privilegiare solo i talenti migliori.«Se l’Italia resta tra i primi dieci Paesi al mondo come risultati nelle discipline olimpiche, lo deve a questa politica. Da una parte lavoriamo per un’attenta ricerca dei talenti e per favorire la loro maturazione affinchè nessun potenziale campione possa disperdersi. Dall’altra, oggi c’è il grande patrimonio dell’integrazione da coltivare: senza entrare qui nelle dispute legislative, occorre trovare formule che evitino ad atleti italiani ma che ancora non hanno il nostro passaporto di doversi accasare all’estero».Il caso di Federica Pellegrini, da idolo a grande antipatica: cambia allenatori come fossero vestiti, vive e ragiona da atleta indipendente da tutto e tutti. Non sarebbe ora di disciplinare di più certi personaggi?«È tipico della cultura italiana perdere simpatia nei confronti di chi non vince. Tipico e assurdo. Detto questo, è normale che personaggi di una certa dimensione e spessore possano essere un po’ fuori dagli schemi. L’importante è che non lo siano troppo, e la Pellegrini non mi pare che lo sia».Nella sua squadra di governo ci sarà Luca Pancalli come segretario. Non c’è pericolo di togliere allo sport paralimpico il suo faro, l’uomo che l’ha definitivamente sdoganato e fatto crescere oltre ogni previsione?«Assolutamente no, perchè puntiamo ad una svolta radicale. Il Coni vuole diventare uno dei primi comitati a potersi definire “olimpico e paralimpico” insieme, anche da un punto di vista formale, come già accade per quello di Usa e Norvegia. È una novità culturale, prima ancora che organizzativa».Al suo fianco chiamerà anche Fiona May. Ex altleta, donna e di colore: un ruolo solo di facciata?«Tutt’altro, per lei è pronto un compito estremamente attivo per seguire e favorire tutte le tematiche relative all’integrazione dei nuovi italiani. Un ruolo che oggi è diventato indispensabile».Il nostro sport deve dire grazie ai gruppi militari: senza di loro, l’attività di vertice sarebbe terribilmente più difficile. Un valore aggiunto o un limite?«Senz’altro una risorsa preziosissima, specie in una fase di crisi come quella odierna. I nostri atleti grazie alle stellette crescono, e soprattutto crescono gli allenatori e i tecnici, senza i quali non si va da nessuna parte».Molti presidenti federali sono in carica anche da 20 anni, parecchi sono ultra 60enni. Lo sport è come la politica, incapace di presentare dirigenti giovani?«È un’obiezione che non condivido. In consiglio nazionale sono entrati alcuni volti giovani e le elezioni in corso hanno già espresso una decina di nuovi presidenti federali. Comunque il ricambio è un’esigenza, ma solo quando i risultati sono negativi. E questo non è il nostro caso...».Petrucci l’ha definita «l’usato sicuro». Perché Pagnozzi e la continuità dovrebbero essere meglio del rinnovamento?«Penso di poter dire che l’esperienza in certi ruoli continui ad avere un peso importante. Il che non significa certo frenare l’innovazione. Quanto all’usato sicuro, il termine “usato” non mi esalta, ma il “sicuro” vale parecchio».Dopo 13 anni Gianni Petrucci lascerà la sua poltrona. In cosa vorrebbe riuscire ad imitarlo?«Nei suoi due pregi migliori: il coraggio nelle scelte e la determinazione a seguirle sino in fondo. La sua forza nel confronto con il governo a difesa dell’autonomia dello sport resta un modello perfetto».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: